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Mag 06 2013

Risposta ad Antonio Montefusco

A. Montefusco, Segnalazione del sito web di Alberto Forni

https://www.danteolivi.com/index.htm [«Oliviana» (En ligne), 4 (2012), mise en ligne le 14 mars 2013. URL: http//oliviana.revues.org/index599.html]

Non sien le genti, ancor, troppo sicure /  a giudicar, sì come quei che stima /  le biade in campo pria che sien mature (Paradiso XIII, 130-132).

Desidero in primo luogo esprimere gratitudine ad Antonio Montefusco, redattore della segnalazione, e al responsabile della rivista che l’ha ospitata, Sylvain Piron. Qui di seguito vengono formulate alcune osservazioni in risposta alle opinioni espresse nella segnalazione (che potrebbe definirsi una parziale recensione) e forniti i chiarimenti necessari su punti che potrebbero alimentare o confermare equivoci nel senso comune degli studiosi.

1) Il materiale pubblicato sul sito viene definito «eteroclitico» (?). A dire il vero, questo materiale è tratto per la quasi totalità da due sole opere, la Lectura super Apocalipsim dell’Olivi e la Commedia di Dante, opere assai vicine nel tempo poiché tra la conclusione della prima (1297/1298) e l’inizio dell’altra (ca. 1307) intercorrono non più di dieci anni. Naturalmente, come in ogni lavoro scientifico, nell’ambito del commento alle tabelle sinottiche sono all’occorrenza citati e addotti altri confronti testuali.

2) È contraddittorio affermare che gli studi fondati su questo materiale possono essere «difficilmente utilizzabili» e poi, poco più sotto, attestare che il sito «si segnala come altamente meritorio per gli studi danteschi e oliviani». Anche volendo distinguere fra la «preziosissima edizione della Lectura super Apocalipsim sulla base del codex optimus Par. lat. 713» e i centinaia di riscontri testuali – tutti esplicati e motivati – fra Lectura e Commedia, concesso altresì che ogni studioso può trarre dai lavori degli altri ciò che più gli interessa, l’aporia insita nelle due divergenti asserzioni non si risolve. Tanto che, proprio con riferimento ai riscontri, si aggiunge che «non abbiamo lo spazio di affrontare in questa sede» tale questione. Dunque il materiale è ben utilizzabile, sia pure per confutare il metodo o i contenuti della ricerca.

3) Montefusco dichiara di voler rinunciare all’«idea del panno “oliviano” rispetto alla “gonna” dantesca». Non si tratta però di un’idea, ma di quanto emerge dal confronto fra i due testi. Esistono precise e verificabili norme del rispondersi fra Lectura e Commedia: occorrenze di parole, nelle due opere, all’interno di rose semantiche perpetuamente variate dal poeta; utilizzazione della medesima esegesi scritturale in più punti del poema, anche lontanissimi fra loro; collazioni analogiche di passi simmetrici al modo delle «distinctiones» usate dai predicatori; presenza ciclica nei versi di parole-temi tratte dai sette «stati» oliviani a formare un ordine interno diverso da quello che appare al lettore, che si registra per progressive zone del poema dove prevalgono i temi di un singolo stato, ordine che rompe i confini letterali stabiliti dai canti e da tutte le divisioni materiali per cerchi, gironi, cieli. Poiché quanto sopra detto è filologicamente verificabile, e sottostà all’immagine del «panno» e della «gonna», il punto di partenza di ogni considerazione deve essere, appunto, la verifica della «messe enorme di raffronti, che vanno da semplici intertestualità foniche a riscontri più forti e variegati». Una volta accertato il fenomeno e le norme che lo regolano, si potrà risalire alle cause esprimendo idee. Bisogna constatare, e chiedersi poi perché, la Lectura super Apocalipsim consenta tanta intimità con la Commedia come nessun altro testo contemporaneo, permettendo persino un nuovo scrutinio delle varianti del «poema sacro» sulla base dell’antica vulgata edita del Petrocchi (si veda in proposito il Paradiso, recentemente pubblicato). Mi rendo ben conto che tale verifica richiede lungo tempo e laborioso impegno da parte degli studiosi. A questo proposito, poiché lo spazio necessario a tal fine non potrà mai essere esiguo, metto volentieri a disposizione il mio sito per chiunque, studioso o curioso, intenda liberamente partecipare, prendere posizione, o anche esprimere una semplice opinione sulla ricerca. Questa, come si dice nella Lectura della Gerusalemme celeste, la si vuole «nec isti vel illi instar domorum appropriata, sed omnibus communis et indivisa». Perciò essa viene presentata sempre in corso d’opera, con successive campagne di scavo; è infatti ben lungi dall’essere esaurita e forse vivrà ancora «tra coloro / che questo tempo chiameranno antico», quando per altrui meriti l’attuale erto sentiero sarà diventato una via regia.

4) La difficoltà insita nella ricerca starebbe nella sua «monocasualità» (?). Se il termine è da intendersi come suona, nel senso che il confronto fra i due testi è condotto con metodo erratico, al modo di coloro «li quali andaro e non sapëan dove», si risponde con quanto già detto sub 3), che cioè esistono delle norme verificabili e nulla è sine causa. Se invece è da intendersi, come più probabile, «monoca<us>alità», nel senso che la Lectura super Apocalipsim sia stata la causa unica della Commedia, si risponde che in nessun luogo dei saggi finora pubblicati è possibile rinvenire una siffatta affermazione. Esplorare un nuovo versante, segnando per la prima volta la via che gli altri potranno ripercorrere, non vuol dire scambiare quel lato per l’intera montagna né rendere inutili le innumerevoli ricerche parziali. Uno studio dell’influenza su Dante di Virgilio o di Ovidio o di Lucano o della Bibbia o di Cavalcanti non sarebbe meno ‘monocausale’ di uno studio su Dante e Olivi. Certo, il ruolo della Lectura super Apocalipsim è del tutto peculiare e finora insospettato – ponendosi come ‘liber concordiae’ di molte fonti  -, ma altro è registrare tecnicamente la concordia delle varie fonti con una teologia della storia, altro è fare di Dante vir unius libri.

5) Montefusco rinuncia ai contenuti senza averne neppure iniziata la verifica; tuttavia già insinua un giudizio di merito: «il rischio che si cada in quella che venne felicemente definita l’idea deforme [titolo (anagramma di ‘fedeli d’amore’) di un volume, curato da Umberto Eco (Milano 1989), sulle interpretazioni esoteriche di Dante: NdA] non è sempre schivato». Premesso che qualsiasi ricerca è sempre costellata di rischi, in questo caso il tipo evocato non trova luogo. Qui non ci sono Templari o Rosacroce, Minerve oscure o Fedeli d’Amore; qui soprattutto non c’è nessuna idea, bensì dei testi a confronto e quanto da essi necessariamente emerge. Complessi che siano, ai testi, come a Minosse, «fallar non lece». La ricerca, che non nasce nello studiolo di Don Ferrante, non vuol essere né esoterica né essoterica, ma semplicemente storica (le vicende degli Spirituali sono un fatto storico); essa tiene conto del monito di Luigi Pietrobono verso quegli studiosi di Dante somiglianti «ai figli che del testamento paterno leggono avidamente ciò che torna gradito, e del rimanente non si curano». Se poi l’«idea deforme» è indotta dal fatto che il destinatario dei sensi mistici della Commedia sia un gruppo di predicatori e riformatori, ristretto rispetto ai ben più numerosi lettori o ascoltatori secondo il senso letterale che gli altri sensi racchiude, allora bisognerebbe ascrivere all’esoterismo anche la Sacra Scrittura, di cui Dante è imitatore, anch’essa destinata a diversi livelli di lettori. Pertanto anche questo punto ricade nelle considerazioni, relative alla necessità di una verifica ad unguem, espresse sub 3).

6) Viene altresì rilevato come la ricerca si collochi in un «quadro ermeneutico un po’ attardato», se non superato, quello che porterebbe Dante a farsi frate in modo conseguente con l’identità francescana di orientamento rigorista. Nella Commedia (è scritto nella segnalazione citando N. Mineo), invece, «c’è una così abbondante e solida cultura pagana» e altri «elementi evidenti … che non paiono facilmente assimilabili a una partecipazione tout-court alla battaglia zelante»; ciò appunto distinguerebbe Dante da Iacopone da Todi. Montefusco mostra di conoscere in proposito il titolo del primo capitolo («Dante e gli Spirituali francescani: un’ermeneutica incompiuta») del saggio introduttivo pubblicato sul sito (Pietro di Giovanni Olivi e Dante. Un progetto di ricerca), ora anche in «Collectanea Franciscana», 82 (2012), pp. 87-156. Non tiene invece conto delle conclusioni di quel capitolo, dove si afferma: «La ricerca, che qui si presenta, intende in primo luogo verificare se la direttrice da seguire sia del tipo, che pur ha recentemente dato notevoli contributi, “Dante e i Francescani”, o “Dante e gli Spirituali”, o “Dante e il gioachimismo”, o ancora “Dante e la teologia”, quasi fossero esigenze e ambiti separati dalla geniale e troppo diversa poesia, il cui lato profetico e visionario è però incontestabile, conseguendo con ciò una necessaria incompiutezza ermeneutica; oppure se lo storico non debba volgersi a cercare i modi con cui Dante appropriò le prerogative, che la teologia riservava alla Chiesa e alla sua storia, all’intero mondo umano con le sue esigenze: lingua, filosofia, monarchia» (CF, pp. 90-91). Tutti i confronti testuali pubblicati sul sito tendono a far uscire Lectura super Apocalipsim e Commedia dall’angustia di studi esclusivamente francescani per collocarle in una nuova prospettiva storica. Essi mostrano come la storia sacra della Chiesa si travasò nello stato umano, sull’«aiuola che ci fa tanto feroci»; registrano dal vivo come la «caduta del millenarismo medievale» creò – per usare parole distanti negli anni ma non attempate – «il presupposto morale, per il cui tramite le esperienze fondamentali della interiorità cristiana dovevano mutarsi negli ideali laici della dignità dell’uomo, della potenza creativa dell’individuo, della cultura concepita come mezzo di perfezionamento spirituale, propri della nuova età del Rinascimento» (R. Morghen, Medioevo cristiano, Bari 19744, pp. 263-264). Se certamente, come è scritto nella segnalazione, nuovi elementi possono venire a Dante dallo studio di «testi meno battuti» (come la tradizione anti-francescana), di «singoli punti critici» (lo «Studium» santacrociano, le teorie dell’Olivi condannate dal Concilio di Vienne), non si vede però perché sia meno conseguente indagare la fortuna postuma del testo indiscutibilmente più importante e non sufficientemente battuto, cioè della Lectura super Apocalipsim.

7) Libero, lo studioso, di rinunciare a salire l’alto monte dantesco da questo nuovo versante, di continuare la navigazione nei porti o lungo le coste senza mettersi «per l’alto mare aperto». Sappia, però, a cosa rinuncia: al confronto fra due testi contemporanei (uno dei quali è praticamente sconosciuto agli studiosi di Dante), al registrare una delle più straordinarie tecniche dell’arte della memoria, all’adeguata valutazione storica della Lectura super Apocalipsim e del peso che avrebbe potuto avere su una riforma della Chiesa che non avvenne; soprattutto a ripercorrere filologicamente, entrando nel ‘laboratorio’ di Dante, il cammino verso la «gloria de la lingua». All’esperienza di tanto egregie cose non ci si può negare, nonostante la «forte» ascesa per la quale, «ut ait Naso, velle parum est; cupias, ut re potiaris, oportet».