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Mar 09 2014

Ubertino da Casale e Dante: dallo spiritualismo francescano al sacro umanesimo

In un recente Convegno internazionale tenutosi ad Assisi su Ubertino da Casale (18-20 ottobre 2013), fra gli argomenti delle varie relazioni presentate, non ha trovato luogo Dante Alighieri. Eppure a tutti sono note le parole con le quali san Bonaventura, nel cielo del Sole, esprime un duro giudizio sul tormentato frate rigorista nella fedeltà alla Regola, posto sullo stesso piano del rilassato Matteo d’Acquasparta: “ma non fia da Casal né d’Acquasparta, / là onde vegnon tali a la scrittura, / ch’uno la fugge e altro la coarta” (Par. XII, 124-126). Il rapporto tra Dante e Ubertino fu centrale per quanto, come vedremo, strumentale nella decisione di scrivere la Commedia (abbandonando il Convivio). Esso è parte delle più ampie relazioni tra Dante e gli Spirituali francescani, un tema che periodicamente riaffiora negli studi ma che resta un’ermeneutica incompiuta. Questo perché Dante fu in primo luogo un letterato geniale, e ogni tentativo di portarlo ‘a farsi frate’ è destinato a fallire. Il problema principale, come me lo prospettò chiaramente anni fa Robert Hollander, è in sintesi questo: come poté essere così importante quel mondo di estremisti per un uomo tanto equilibrato come fu Dante che, oltretutto, lo condannò per bocca di Bonaventura, il maestro a Parigi della loro guida spirituale Pietro di Giovanni Olivi, autore del libro-vessillo degli Spirituali, la Lectura super Apocalipsim?

La risposta è in sostanza quella che diede Raoul Manselli: Dante condannò in Ubertino la deriva estrema dello spiritualismo, non gli Spirituali in sé e tanto meno l’Olivi. Il legame intertestuale così intenso che intercorre tra la Commedia e la Lectura super Apocalipsim – ampiamente documentato su questo sito – consente di confermare quel giudizio e al tempo stesso di arricchirlo di nuove prospettive. Il riferimento testuale di Dante fu l’Olivi, non Ubertino. Ancora: l’elaborazione della Lectura super Apocalipsim, se da una parte mirava a fornire ai lettori Spirituali, per la propria edificazione o per la predicazione, una dottrina più ampia di quella immediatamente espressa dal senso letterale – attraverso parole che sono segni mnemonici i quali rinviano all’esegesi contenuta nell’opera dell’Olivi  -, dall’altra vestiva questa dottrina con fatti e personaggi reali, tratti dal microcosmo toscano. In più, la rettificava in senso aristotelico (l’Olivi fu sempre un fiero avversario dello Stagirita) e imperiale. Tutto ciò, mentre estende l’ombra dell’Olivi sulla stesura della Commedia, facendo della Lectura il ‘liber concordiae’ di ogni altra possibile fonte, riduce di molto l’apporto di Ubertino. Di conseguenza, lo studioso non deve più cercare di inserire Dante fra gli Spirituali perché, per quanto vicino fosse loro, non vi si può ridurre; deve bensì individuare i modi con cui il poeta ha riversato concetti e immagini appartenenti alla storia provvidenziale della Chiesa – così come descritta dall’Olivi – sull’intero mondo umano, in favore del “viver bene” dell’ “omo in terra”, dando la sua risposta a esigenze primarie come la lingua, la filosofia che conduce alla beatitudine in terra, il regime politico.

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Ubertino da Casale e Dante fecero anche un uso diverso della Lectura super Apocalipsim. Il primo ne trascrisse diversi brani nel V libro dell’Arbor vitae crucifixae Jesu, opera composta nel 1305 a La Verna. Si è sempre sostenuto che Dante conoscesse l’Arbor, e ciò non è certo escluso. Fatto sta che l’esame intertestuale fra Commedia e Lectura mostra chiaramente come Dante abbia elaborato anche i passi (numerosi) che Ubertino non aveva incluso nel V libro dell’Arbor. Si tratta dei passi strettamente esegetici, che spesso si estendono per parecchi fogli dell’opera oliviana e non sono secondari nell’economia di questa.

Un esempio è l’istruzione data ad Efeso, la prima chiesa d’Asia (Ap 2, 1-7), che contiene alcuni temi fondamentali nel poema come lo scendere e il risalire per gradi nella perdita e nel successivo ritrovamento della carità originaria, che dà il movimento al viaggio di Dante; come la traslazione del primato fra le chiese che ridonda sulle traslazioni da Cimabue a Giotto nella pittura e da Guido Guinizzelli a Guido Cavalcanti nella “gloria de la lingua”, di cui parla Oderisi da Gubbio in Purg. XI; come la distinzione tra la voce esteriore e intellettuale del Cristo uomo che prepara quella dell’interno dettatore, propria dello Spirito di Cristo, distinzione che si incarna, rispettivamente, in Virgilio e in Beatrice, disparendo il primo all’avvento della seconda nell’Eden. Oppure l’invito a ricordare la prima grazia, fatto al vescovo di Sardi, la quinta chiesa (Ap 3, 3), che fra molti luoghi fornisce panno al vagheggiare, nell’incontro con Matelda, una primavera di innocenza e di bellezza perduta. O ancora l’esegesi del dritto o torto interpretare la Scrittura, relativa all’apertura del terzo sigillo (Ap 6, 5), i cui fili emergono nel tessuto della terza bolgia dei simoniaci (Inf. XIX). Si tratta solo di alcuni fra i molti esempi.

Ci sono poi passi non strettamente esegetici, che Ubertino tralascia o non cita in modo diretto. Al termine dell’esegesi del capitolo XIII dell’Apocalisse (Ap 13, 18), che tratta della grande guerra mossa nel sesto stato dalla bestia, della quale viene spiegato anche il mistero del numero del nome – il DCLXVI -, Olivi riporta l’opinione di alcuni, i quali, sulla base degli scritti di Gioacchino da Fiore e di quanto sarebbe stato rivelato in segreto da san Francesco a frate Leone suo confessore e ad altri compagni, ritengono che Federico II e il suo seme sia la testa della bestia che sembrava uccisa e che rivive di Ap 13, 3 («Et vidi unum de capitibus suis quasi occisum in mortem, et plaga mortis eius curata est»). Secondo costoro, al tempo dell’Anticristo mistico (che precede quello aperto), in questo discendente di Federico non solo rivivrà l’Impero romano, ma egli conquisterà pure il regno di Francia e gli saranno alleati gli altri re cristiani. Farà eleggere papa un falso religioso nemico della regola francescana, che contro questa escogiterà dolose dispense, promuovendo vescovi a lui consenzienti ed espellendo i chierici e i precedenti vescovi che erano stati avversi al seme di Federico e specialmente a quell’imperatore, a lui e al suo stato.

Ubertino da Casale applica la figura dell’Anticristo mistico a Bonifacio VIII (morto nel 1303) e al suo successore Benedetto XI (1303-1304; Arbor vitae, V, 8), ma non cita direttamente l’esegesi oliviana di Ap 13, 18 sull’Anticristo mistico-discendente di Federico II. Dante non solo elabora intertestualmente questa pagina, che in ciò ben rivela la portata della metamorfosi della Lectura super Apocalipsim nella Commedia, ma soprattutto fa risuonare l’operato del falso papa che caccia coloro qui semini Frederici et specialiter illi imperatori et sibi et suo statui fuerant adversati in bocca al ghibellino Farinata degli Uberti, uditi i nomi dei ‘maggiori’ di Dante: « poi disse: “Fieramente furo avversi / a me e a miei primi e a mia parte” » (Inf. X, 46-47). Qui siamo in presenza non di un papa, dell’universale potere spirituale, ma del capo di una fazione cittadina quasi fosse un vescovo della propria chiesa ‘politica’, che espelle i suoi avversari. Si tratta di un modo di procedere tipico di Dante, che diffonde immagini e concetti universali sull’intero stato umano e su quello particolare della sua città. Qui “sta – direbbe Gianfranco Contini – la mondanità discretiva del Dante della Commedia, unicuique suum” (Filologia ed esegesi dantesca [1965] in Un’idea di Dante. Saggi danteschi, Torino 1970 e 1976, p. 135).

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Dunque Dante segue l’Olivi, non Ubertino. Ma quest’ultimo svolse un ruolo fondamentale nella decisione di scrivere la Commedia, perché fu colui che diede a Dante la Lectura super Apocalipsim affinché ne facesse cosa nuova in versi. Se certo non sussiste un documento che attesti la consegna, esistono molti indizi al riguardo. Dopo la morte dell’Olivi la Lectura si diffuse subito in Italia (nella tradizione manoscritta, il maggior numero di testimoni – 12 su 16 – è di area italiana); nel 1305 (marzo-settembre) Ubertino da Casale l’aveva con sé a La Verna mentre scriveva l’Arbor vitae; nel 1306 (6 ottobre) Dante è in Lunigiana come procuratore della pace con il vescovo di Luni per conto dei Malaspina; nel 1307 è in Casentino, da dove invia (Epistola IV) a Moroello la canzone “Montanina”; nello stesso anno Ubertino, diventato cappellano del cardinale Napoleone Orsini, opera per il ritorno a Firenze degli esiliati, azione che fallisce dopo il mancato scontro a Gargonza tra i Neri e le truppe del Cardinale (ospite dei conti Guidi). Dunque negli stessi mesi, e in luoghi contigui se non coincidenti, Dante e Ubertino lavoravano per la pace, e si può ben immaginare quanto l’attività del frate stesse a cuore al poeta. Fu quella l’ultima possibilità che Dante ebbe di rientrare a Firenze prima dell’inizio della stesura della Commedia. Fu un anno decisivo, il 1307, come scrisse Giorgio Petrocchi:

« Lo spazio bianco che intercorre tra la chiosa al commiato di Le dolci rime [la canzone commentata nel IV trattato del Convivio] e i primi versi dell’Inferno, è enorme quanto al salto di qualità, al timbro espressivo, alle scansioni passionali, alla presa in carico di un materiale smisuratamente più gravoso, ma fu forse bruciato in un tempo rapidissimo, se non si vuol dar credito a ipotesi più affascinante per palati moderni: che le due fatiche, finale l’una e iniziale l’altra, si siano addirittura accavallate per un lasso di tempo che sono i mesi intermedi dell’anno 1307. Peraltro il problema non può essere ridotto meramente a un mutamento di programma letterario; occorre cercare qualche motivazione più profonda, che si ricolleghi a eventi della spiritualità di Dante (…) La rivoluzione poetica e stilistica in nulla, d’altronde, può contrastare un totale commovimento etico-religioso, quale ben oltre la visione allegorica della Vita Nuova irrompe nelle prime terzine dell’Inferno. (…) Il mondo del profetismo gioachimita e celestiniano del Duecento crea nuovi temi e interrogativi all’animo del poeta; l’uomo-Dante si ritrae e analizza nelle sue esitazioni morali e nel suo bisogno di sacrificio e di redenzione, con una forte percezione del peccato che l’ha macchiato e con ardente volontà di purificarsi. D’ora in poi la vita politica e quella intellettuale dell’Alighieri s’identificheranno totalmente nel titanico sforzo di portare avanti, canto per canto, il sogno mistico della ‘divina’ Commedia » (G. Petrocchi, Biografia, in Enciclopedia Dantesca, Appendice, pp. 34-35).

Questo “totale commovimento etico-religioso” fu provocato dalla Lectura super Apocalipsim dell’Olivi. Da Ubertino, che probabilmente fu ad esso strumentale, Dante si staccò subito, ancorando il suo lavoro intertestuale alla Lectura e non all’Arbor vitae e perfino sopravanzando quest’opera nel duro giudizio su Bonifacio VIII, poi esteso a Clemente V e a Giovanni XXII (due papi sui quali Ubertino tace). Nel corso della stesura del Paradiso (dal 1316 ?), dopo le lacerazioni interne dell’Ordine francescano aggravatesi con il Concilio di Vienne (1311-1312), lo riprovò con le parole di Bonaventura, maestro dell’Olivi, la cui luce risplende nel cielo degli spiriti sapienti insieme ad altre fra le quali ci sono Riccardo di san Vittore e Gioacchino da Fiore, le due maggiori auctoritates citate nella Lectura super Apocalipsim.

Ubertino da Casale, Arbor vitae crucifixae Jesu, Venetiis 1485, rist. anast. a cura di C. T. Davis, Torino 1961; R. Manselli, Pietro di Giovanni Olivi ed Ubertino da Casale (a proposito della Lectura super Apocalipsim e dell’ Arbor vitae crucifixae Jesu), in “Studi medievali”, ser. III, 6 (1965), pp. 95-122, ripubblicato in Id., Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colombo. Studi sul francescanesimo spirituale, sull’ecclesiologia e sull’escatologisno bassomedievali (Nuovi Studi Storici, 36), introduzione e cura di P. Vian, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1997, pp. 79-107; G. L. Potestà, Storia ed escatologia in Ubertino da Casale, Milano 1980; C. M. Martínez Ruiz, De la dramatización de los acontecimientos de la Pascua a la Cristología: el cuarto libro del Arbor Vitae Crucifixae Iesu de Ubertino de Casale (Studia Antoniana, 41), Roma, Pontificium Athenaeum Antonianum, 2000. Sull’esegesi di Ap 13, 18 nella Lectura super Apocalipsim cfr. la lectura di Inferno X pubblicata su questo sito. Sui rapporti tra Ubertino e Napoleone Orsini fondamentale è la relazione tenuta da P. Vian nel corso del sopra citato Convegno di Assisi.