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1. Il “poema sacro” come un libro della Bibbia
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In Paradiso XXV, 1-2 Dante definisce la Commedia “ ’l poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra”.
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Nell’Epistola a Cangrande della Scala l’autore afferma che il significato di questo poema è “polisemos, hoc est plurium sensuum”, cioè ha più significati (Ep. XIII, 20).
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Quattro sensi venivano applicati dagli esegeti all’interpretazione della Bibbia. Il primo è quello letterale. Gli altri significati – allegorico, morale, anagogico, definiti collettivamente “mistici” o “allegorici” (Ep. XIII, 22) – sono comprensibili a partire dal senso letterale, in questo incardinati.
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Dante concepiva il suo “poema sacro”, nel quale descriveva una vera visione come quelle degli antichi profeti, quasi fosse un libro della Bibbia.
2. La Commedia è una moderna Apocalisse.
Dante la concepì così per un pubblico preciso: gli Spirituali francescani.
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C’è un libro della Scrittura al quale la Commedia è stata accostata anche da autori, come Michele Barbi e Bruno Nardi, contrari a scorgervi influenze dirette dell’esegesi contemporanea: l’Apocalisse (Ap). Come questa, il “poema sacro” è un libro scritto dentro (i sensi mistici) e fuori (il senso letterale).
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Si suole fare riferimento all’Apocalisse solo per quei luoghi del poema dove essa è palesemente citata, come nella bolgia dei simoniaci (Inferno XIX) o nelle visioni delle vicissitudini del carro-Chiesa militante che concludono Purgatorio XXXII.
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Dante, che si considerava un nuovo san Giovanni, concepì la Commedia, dal primo all’ultimo verso, come una nuova Apocalisse, in modo tale che potesse essere letta così da un preciso pubblico: gli Spirituali Francescani.
3. Gli Spirituali francescani
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Come scrisse Raoul Manselli, gli Spirituali francescani non erano “un partito o una fazione ma un fermento di vita fra i Minori, una presa di coscienza, la ferma rivendicazione della peculiarità dell’Ordine, una ‘attitude critique’, un ‘mouvement d’espérance’; e di tutto questo Olivi è colui che sa meglio cogliere il valore e il senso religioso, storico e umano” [1].
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Volevano il ritorno alla Regola di san Francesco, mantenendo uno stato di povertà assoluta all’interno dell’Ordine.
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Fondandosi sugli scritti profetici di Gioacchino da Fiore, attendevano una nuova era, il novum saeculum che avrebbe portato a una palingenesi universale e alla conversione degli infedeli e degli Ebrei.
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Il loro punto di riferimento era il frate provenzale Pietro di Giovanni Olivi (Sérignan 1248-Narbonne 1298).
4. Il libro-simbolo degli Spirituali:
la Lectura super Apocalipsim di Pietro di Giovanni Olivi.
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Autore di opere filosofiche ed esegeta dell’intera Scrittura, Olivi tra il 1287 e il 1289 fu lettore di teologia nel convento francescano di Santa Croce in Firenze, dove forse Dante ascoltò le sue lezioni (Beatrice morì nel 1290).
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Da Firenze Olivi fu inviato a Montpellier (1289), dove scrisse la Lectura super Apocalipsim alla quale attendeva ancora nel 1297, prima di morire l’anno seguente a Narbonne.
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Summa di vita, di ideali, di pensiero del suo autore, la Lectura fu anche il vessillo degli Spirituali e, per più di un quarto di secolo, oggetto di persecuzione senza pari “anche oltre la morte, quando le sue ossa saranno impietosamente disseppellite e oltraggiate, i suoi scritti confiscati e distrutti, il suo nome aborrito e taciuto” [2].
5. L’escatologia nella Lectura super Apocalipsim
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La Lectura portava al sommo l’escatologismo che, per citare Arsenio Frugoni, “oltre che ideologia di lotta e di riforma del gruppo spirituale, era anche un vero e proprio sentimento storico […] una tensione di rinnovamento, una ansia di salvezza, che nel 1300, l’anno centenario della Natività, aveva trovato come una attivazione, in un senso di pienezza dei tempi, cui doveva corrispondere un fatto, un accadere meraviglioso e nuovo” [3].
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Nel sesto periodo (status) della storia della Chiesa – corrispondente alla terza età di Gioacchino da Fiore – si verifica un secondo avvento di Cristo, non come il primo nella carne e molto prima del terzo, che sarà nel giudizio finale, ma nello Spirito, cioè nei suoi discepoli spirituali. I segni della divina provvidenza sono pervenuti fino ai tempi moderni (il sesto stato), nei quali sta già operando una palingenesi nelle coscienze che porterà a un novum saeculum. Per quanto Olivi sia molto cauto nell’uso degli autori pagani, c’è una perfetta concordanza spirituale, e anche letterale, fra quanto afferma di questa renovatio e la quarta egloga virgiliana. In questa età rinnovata per lo Spirito di Cristo, tanto attesa come quella augustea, una rivoluzione interiore viene compiuta con la parola che converte e rompe la durezza dei cuori, che l’interno dettatore spira nei predicatori aprendo la loro volontà al dire. Su questa età ‘sesta’ ricade tutta la sapienza e la malizia del passato. Se finora Cristo, in quanto uomo, ha insegnato con la voce esteriore, e in quanto Verbo con la luce intellettuale, d’ora in poi insegnerà anche tramite il gusto d’amore proprio del suo Spirito. Alla preparazione della dottrina esteriore subentra il dettato interiore.
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Prima che la pace e la giustizia trionfino, l’uomo del sesto stato dovrà però affrontare prove terribili, un vero martirio psicologico e intellettuale inflitto dai subdoli inganni operati dall’Anticristo. I martiri del sesto stato soffrono nel dubbio, il loro è un “certamen dubitationis” che i primi testimoni della fede non sostennero per l’evidenza dell’errore in cui incorrevano gli idolatri pagani. Nel sesto stato il martire non prova soltanto il tormento del corpo, viene anche suggestionato dalla sottigliezza degli argomenti filosofici, da ingannevoli Scritture, dall’ipocrita simulazione di santità, dalla falsa immagine dell’autorità papale, in quanto falsi pontefici insorgono, come Anna e Caifa insorsero contro Cristo. Per rendere più intenso questo martirio psicologico, i carnefici stessi – i seguaci di Behemot dei quali scrive Gregorio Magno – operano miracoli. Tutto ciò appartiene alla tribolazione del tempo dell’Anticristo, alla tentazione che induce in errore persino gli eletti, come testimoniato da Cristo nella grande pagina escatologica di Matteo XXIV. Nel pio fedele si fa forte il desiderio di morte, effetto del grave dubbio sulle verità di fede insinuato dalle pungitive e subdole locuste infestanti per “cinque mesi” la fase finale del quinto stato (Ap 9, 5-6).
6. La Lectura super Apocalipsim in Italia
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Fu probabilmente Ubertino da Casale colui che diede a Dante la Lectura super Apocalipsim affinché ne facesse cosa nuova in versi. Dopo la morte dell’Olivi (1298) la Lectura si diffuse subito in Italia, nel 1305 (marzo-settembre) Ubertino da Casale l’aveva con sé a La Verna mentre scriveva l’Arbor vitae. Nel 1306 (6 ottobre) Dante è in Lunigiana come procuratore di pace con il vescovo di Luni per conto dei Malaspina; nel 1307 si trova forse in Casentino, da dove invia a Moroello la canzone Montanina ; nello stesso anno Ubertino, diventato cappellano del cardinale Napoleone Orsini [4], opera per il ritorno a Firenze degli esiliati, azione che fallisce dopo il mancato scontro a Gargonza tra i Neri e le truppe del cardinale, ospite dei conti Guidi. Dunque negli stessi mesi, e in luoghi contigui se non coincidenti, Dante e Ubertino lavoravano per la pace, e si può ben immaginare quanto l’attività del frate stesse a cuore al poeta. Fu quella l’ultima possibilità che Dante ebbe di rientrare a Firenze prima dell’inizio della stesura della Commedia. Fu un anno decisivo, il 1307, come scrisse Giorgio Petrocchi, allorché “un totale commovimento etico-religioso, quale ben oltre la visione allegorica della Vita Nuova, irrompe nelle prime terzine dell’Inferno” e “il mondo del profetismo gioachimita e celestiniano del Duecento crea nuovi temi e interrogativi all’animo del poeta” [5].
7. Il confronto testuale fra Commedia e Lectura super Apocalipsim :
un rapporto tecnico, regolato da norme precise e verificabili.
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L’accostamento dei due testi non è nuovo, da Ernesto Buonaiuti [6] a Raoul Manselli [7] a Ovidio Capitani [8], ma si trattava di vicinanza di idee e toccava solo alcuni punti della Commedia. La nuova scoperta, avvenuta nel corso di una ricerca ventennale, sta nel fatto che si tratta di un rapporto tecnico; esso riguarda tutto il poema per ognuno dei 14233 endecasillabi, nei quali i concetti teologici vengono incardinati e trasformati. Questa straordinaria metamorfosi testuale si fonda su precise e verificabili norme.
a) Gruppi di parole ravvicinate presenti nella Lectura super Apocalipsim si ritrovano, con parole altrettanto ravvicinate, ma liberamente collocate nelle forme più varie, nella Commedia, quasi fili tratti da altro ordito e, intrecciati con altri, tessuti in uno nuovo. Il fenomeno risulta troppo diffuso perché sia casuale. Non si tratta di parole isolate, ma collocate in una rosa entro spazi testuali ristretti; gli accostamenti non sono banali o scontati. Non c’è calco o riscrittura; il travaso non è di frasi – e non potrebbe esserlo dalla prosa in poesia – ma di elementi semantici che sono segnali, in un’alta retorica del significante. La compresenza risulta evidente per quanto, nel lessico della Commedia, proviene dal latino, si tratti di latinismi o di termini già entrati nell’uso fiorentino. Ma anche le voci fiorentine di ogni strato sociale, o quelle tratte da altri dialetti della penisola, i gallicismi, gli arabismi, i neologismi concordano con l’esegesi apocalittica, talora anche per somiglianza fonica, circondati da segnali che sollecitano il lettore verso l’altro testo.
b) Un medesimo luogo della Lectura conduce, tramite la compresenza delle parole, a più luoghi della Commedia. Ciò significa che la medesima esegesi di un passo dell’Apocalisse è stata utilizzata in momenti diversi della stesura del poema.
La persistenza di un “panno” – cioè di un altro testo da cui trarre i significati spirituali del poema, materialmente elaborati attraverso le parole – è servita a mantenere l’unità e la coerenza interna dell’ordito, della “gonna”, per usare l’immagine di san Bernardo a Par. XXXII, 139-141. Che il poema sia stato pubblicato per gruppi di canti, non più modificabili, oppure per cantiche riviste, sempre stava innanzi all’autore la medesima esegesi teologica con le innumerevoli possibilità di variazioni tematiche e di sviluppi.Esempi : Ap 7, 3-4; 6, 8.
In un apposito studio viene mostrato (con un centinaio di esempi, ma potrebbero essere molti di più) come, a partire da singole parole, nello stesso verso o nei versi immediatamente circostanti se ne registrano altre che si riferiscono al medesimo luogo dell’esegesi apocalittica (non al solo testo dell’Apocalisse, ma a questo e alla sua esegesi).
Un’altra indagine, condotta su circa 300 hapax legomena della Commedia (in quanto parole più rare o studiate) ha evidenziato questo fenomeno in modo sistematico.c) Più luoghi della Lectura possono essere collazionati tra loro, secondo un procedimento analogico tipico delle distinctiones ad uso dei predicatori. La scelta non è arbitraria. Vi predispone lo stesso testo scritturale, poiché l’Apocalisse contiene espressioni, come Leitmotive, che ritornano più volte. È determinata da parole-chiave che collegano i passi da collazionare. È suggerita dallo stesso Olivi, nel prologo, per una migliore intelligenza del testo.
Esempi : Ap 17, 1.
8. Significato della relazione fra Commedia e Lectura super Apocalipsim.
L’arte della memoria.
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La Commedia è un universo di segni. Il senso letterale contiene parole che sono chiavi di accesso a un altro testo, la Lectura super Apocalipsim dell’Olivi. Si tratta di un procedimento di arte della memoria: le parole-chiave operano sul lettore come imagines agentes che lo sollecitano verso un’opera di ampia dottrina, che già conosce, ma che rilegge mentalmente parafrasata in volgare, profondamente aggiornata secondo gli intenti propri del poeta, in versi che le prestano “e piedi e mano” e la dotano di exempla contemporanei e noti.
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In cosa questa ars memorandi avrebbe potuto servire al pubblico degli Spirituali? In primo luogo, il “poema sacro” si proponeva come speculum per quel gruppo riformatore, guida nella conduzione del gregge affidato. In secondo luogo, l’arte della memoria sarebbe stata utile per la predicazione. La Commedia è un viaggio per exempla. Se grazie alla Commedia Dante fosse tornato a Firenze “con altra voce omai, con altro vello” (Par. XXV, 1-12), quanti predicatori non l’avrebbero citata dai pergami cittadini? In terzo luogo, coloro che erano votati alla riforma della Chiesa avevano a disposizione una nuova lingua, il volgare, universale quanto lo era stato il latino. Il principio secondo il quale clerus vulgaria tempnit, per usare le parole di Giovanni del Virgilio nel carmen indirizzato a Dante, veniva smentito.
9. I periodi (status) della storia della Chiesa
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Seppure segue l’ordine dei ventidue capitoli dell’Apocalisse, Olivi suggerisce tuttavia un metodo differente di comprensione e di aggregazione del testo, fondato sui sette stati, cioè sulle epoche nelle quali si articola la storia della Chiesa, prefigurate nell’Antico Testamento.
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L’Apocalisse si articola in sette visioni: le sette chiese d’Asia, i sette sigilli, le sette trombe, la donna vestita di sole (le sette guerre sostenute dalla Chiesa), le sette coppe, il giudizio di Babylon nelle sette teste del drago, la Gerusalemme celeste. Le prime sei visioni possono essere a loro volta divise in sette momenti, ciascuno dei quali riferibile a uno dei sette stati. Assembrando, per le prime sei visioni, tutti i primi elementi (chiesa, sigillo, tromba, guerra, coppa, momento del giudizio di Babylon), tutti i secondi, i terzi e così di seguito, si ottengono sette gruppi di materia teologica, corrispondenti al complesso dei temi afferenti a ciascuno dei sette stati [9]. A questi sette gruppi se ne aggiungono altri due: l’esegesi della settima visione (senza articolazioni interne) e l’esegesi di capitoli del testo scritturale, o di parti di essi, introduttivi delle successive specificazioni delle singole visioni per settenari, che l’Olivi definisce “radicalia” o “fontalia”. Si ottengono in tal modo nove gruppi: le parti proemiali, i sette assembramenti di settenari e la settima visione. Il grande prologo della Lectura, articolato in tredici notabilia, può essere anch’esso riaggregato secondo i sette stati [10]. Un libro (la Lectura) contiene dunque princìpi e criteri affinché l’accorto lettore possa trarne un altro libro, fatto con lo stesso materiale ma ricomposto e distribuito in forma diversa.
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L’introduzione di categorie estranee di per sé al testo sacro – la divisione della storia della Chiesa in sette periodi (status), ciascuno dei quali raccolga l’esegesi dei singoli elementi settenari in cui sono divise le visioni apocalittiche – fa sì che un commento sui ventidue capitoli dell’Apocalisse si trasformi in una teologia della storia. La mutua collatio di parti della Lectura arricchisce il significato legato alle parole e consente uno sviluppo tematico.
10. La “Topografia spirituale” della Commedia
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La Commedia mostra un ordine interno diverso da quello che appare al lettore: il viaggio di Dante ha un andamento di ciclici settenari, che corrispondono ai sette stati della storia della Chiesa, cioè alle categorie con cui l’Olivi organizza la materia esegetica.
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Questo ordine interno è registrabile per zone progressive del poema dove prevale, tramite le parole-chiave, la semantica riferibile a un singolo stato. È un ordine dirompente i confini letterali stabiliti dai canti e da tutte le divisioni materiali per cerchi, gironi, cieli. Ogni stato, che ha differenti inizi, è concatenato per concurrentia, come le maglie di un’armatura, con quello che precede e con quello che segue.
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Si possono in tal modo redigere mappe che comprendano l’ordine spirituale della Commedia. La ricerca, collocata su un sito per sfruttare gli spazi offerti dalla rete, è pervenuta a una Topografia spirituale della Commedia, dove quasi per ogni verso, o gruppo di versi, collegamenti ipertestuali conducono al “panno” esegetico fornito dalla Lectura super Apocalipsim, sul quale il “buon sartore” ha fatto “la gonna”.
11. Un canovaccio aggiornato
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Dante ha propri motivi di interesse, primi fra tutti la lingua volgare, Aristotele e l’Impero. Olivi – che scrive in latino – è avverso alla filosofia aristotelica, non è un fautore dell’Impero. Proprio su questi punti distanti si misura la portata della metamorfosi.
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Nella prospettiva storica oliviana, adeguatamente aggiornata da Dante, l’Impero trova un luogo autonomo. Se alla donna (la Chiesa) nel deserto dei Gentili vengono date due ali di una grande aquila (Ap 12, 14), interpretate come il terzo stato dei dottori (che confutano le eresie con la ragione e la spada) e il quarto degli anacoreti (dediti al devoto pasto eucaristico), ecco che alle loro prerogative – si tratta di due stati di solare sapienza – possono venire assimilati Impero e Papato, spada e pastorale, i “due soli” di Marco Lombardo (Purg. XVI, 106-114). E poiché il fiume luminoso che scorre nel mezzo della Gerusalemme celeste ha due rive, l’umana e la divina con al centro Cristo-lignum vitae che ombreggia entrambe (Ap 22, 1-2), quell’ombra sacramentale di verità superiori si riverbera sia sull’ “ombra de le sacre penne” dell’aquila imperiale, di cui dice Giustiniano (Par. VI, 7) come sull’ “ombra de le sacre bende” proprie della vita religiosa ed evangelica di cui parla Piccarda (Par. III, 114), cioè sui due fini di beatitudine assegnati all’uomo dalla Provvidenza (cfr. Monarchia, III, xv, 7). Diventato consorte in cielo della Chiesa, l’Impero partecipa a pieno titolo dell’eterna generazione del Verbo e del suo farsi carne. Come Cristo fu soggetto al Padre per la sua mortale umanità, ma non per questo gli fu meno consustanziale ed uguale, così il romano Principe, assimilato al Figlio dell’uomo, deve rendere reverenza al Padre e soggiacergli “in aliquo” (come scritto al termine della Monarchia) senza per questo essere meno a Lui uguale.
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Dante applica all’Impero la concezione che l’Olivi ha della Chiesa: passa di mano in mano, può rimanere temporaneamente “sanza reda”, ma di per sé è immutabile, tunica inconsutile. Lo stesso voto evangelico secondo Olivi e la monarchia secondo Dante hanno qualcosa di essenziale in comune: l’immutabilità, l’indissolubilità.
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Con un aggiornamento di quanto esposto nella Lectura super Apocalipsim sull’incorporazione delle genti nella Roma dei giusti o dei reprobi, che peregrinano insieme in terra, Dante perviene ad attribuire ai classici una sacralità fino ad allora propria solo della Chiesa in sé.
Esempi : Omero (Ap 8, 13); Aristotele (Ap 4, 3-4); Glauco (Ap 19, 17-18); Cesare (Ap 1, 10; 19, 6).
12. Il “profetismo” dantesco:
inserire il particolare realistico nella storia universale.
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Lo spirito profetico, che non è soltanto previsione di eventi futuri, dà alle vicende un valore esemplare. Espandersi verso l’universale al di là del proprio particolare, per poi ritornarvi, è una caratteristica del modo tenuto dai grandi profeti, Isaia o Ezechiele, e da Cristo stesso.
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Tutti i tre più gravi peccati capitali – superbia, invidia e avarizia -, afferma Ciacco, cooperano alle divisioni di Firenze, e ne sono concausa (Inf. VI, 74-75). Un particolare fatto cittadino viene elevato a modello di male universale. Così si può ancora dire della fama di Firenze che “si spande” per tutto l’inferno (Inf. XXVI, 1-3), o che la città “è pianta” di Lucifero (Par. IX, 127-128).
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Un lettore spirituale non avrebbe mancato di accorgersi di questo passaggio dal particolare all’universale e viceversa nei primi versi del poema: “Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura”. Incardinato nel senso letterale riferito al trentacinquesimo anno dell’autore, avrebbe ben scorto il riferimento a Cristo mediatore, la cui vita deve essere dalla nostra perfettamente imitata e partecipata.
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Il realismo dantesco porta nell’aldilà le passioni umane ma, dando ad esse una veste sacra per mezzo della dottrina contenuta nella Lectura super Apocalipsim, le inserisce in un processo storico universale che manifesta i segni della volontà divina.
Esempi : Ulisse (Ap 21, 1-2); Ugolino (Ap 9, 13); Vespro (Ap 6, 12); la gloria de la lingua (Ap 2, 5; 3, 11).
13. Tutte le possibli fonti della Commedia concordano con la Lectura super Apocalipsim
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La Lectura super Apocalipsim non è una fonte, bensì il libro della storia delle illuminazioni sapienziali con cui tutto deve concordare.
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Con l’esegesi dell’ultimo libro canonico, esposta in una teologia della storia che comprende per settenari tutta la Scrittura, la quale a sua volta è forma, esempio e fine di ogni scienza, concorda ogni conoscenza, ogni esperienza, ogni soluzione indipendente data a questioni dottrinali. Virgilio, Ovidio o Lucano, Boezio, Aristotele, Alberto Magno o Tommaso d’Aquino, la stessa Scrittura in quanto tale, le più svariate esperienze poetiche o le conoscenze di astronomia sono, nel poema, tutte fonti ordinate alla Lectura.
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Il sesto e il settimo stato della Chiesa, nella prospettiva di Olivi, corrispondono alla terza età di Gioacchino da Fiore, quella dello Spirito ma, novità sostanziale rispetto all’abate calabrese, non sono appropriati a una persona della Trinità, bensì allo Spirito di Cristo, centro della storia in progressivo sviluppo. L’abate è presente nella Commedia non per conoscenza diretta, ma in modo diffuso attraverso le numerose sue citazioni nella Lectura, le quali partecipano della generale metamorfosi di questa.
14. Dante tra Medioevo e Rinascimento
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Questa ricerca ripristina un Dante tutto “medievale”. Richiede infatti al lettore, come invitava Benedetto Croce, “che anzitutto si renda familiari le linee fondamentali dell’edifizio medievale e viva dentro questa figurazione, grandiosamente conclusa in sé ma a noi per ogni verso estranea” [11]. Con un’intima metamorfosi, la storia sacra della Chiesa si travasa nello stato umano, sull’ “aiuola che ci fa tanto feroci”. Quanto Olivi scrive della storia della Chiesa e della gloria di Cristo viene nella Commedia diffuso su tutte le persone e le forme, antiche e nuove, del nostro mondo.
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Il moderno lettore potrà constatare concretamente nel “poema sacro” come il saeculum humanum rivendicò l’autonomia nell’uso del volgare, nella definizione del regime politico, nell’ambito della natura e della ragione, nella valorizzazione degli autori classici – in quelli che sarebbero stati gli ideali laici del Rinascimento -, mentre veniva meno il senso di una storia sacra della salvezza collettiva, della quale la Lectura super Apocalipsim fu l’estrema espressione.
15. La poetica del dettato interiore
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Quanto avviene nei tempi moderni, che Olivi fa coincidere con il sesto stato della storia della Chiesa, caratterizzato dal libero parlare per dettato interiore che apre i cuori, è singolarmente consonante con la poetica del contemporaneo Dante. Tale viene definita nel sesto girone del purgatorio nell’incontro con Bonagiunta da Lucca: una poetica fondata sullo spirare di Amore, interno “dittator”, e sul notare significando in modo stretto i suoi dettati, quasi fossero quelli di una regola evangelica imposta e accettata (Purg. XXIV, 49-63). La Vita Nova è la storia di un nuovo avvento di Cristo, del “miracolo” Beatrice, venuta in tanta grazia delle genti da operare mirabilmente in esse. Un miracolo non corporale ma intellettuale, visibile a quanti hanno “intelletto d’amore”. Non sarà casuale che l’uscita delle “nove rime” dantesche sia contemporanea all’insegnamento di Olivi a Santa Croce tra il 1287 e il 1289, subito prima della morte di Beatrice, nel 1290. Questo spiega lo straordinario rapporto intertestuale, fondato su precise e verificabili norme, che nel periodo dell’esilio Dante volle creare fra il suo “poema sacro” e la Lectura super Apocalipsim, arrivata presto in Italia dopo la morte del suo autore.
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Come all’apertura del sesto sigillo i segnati si distinguono, perché amici di Dio, dalla volgare milizia, così Dante per l’amica Beatrice è uscito dalla “volgare schiera” dei poeti (Inf. II, 103-105). Come l’angelo ingiunge a Giovanni di predicare ancora senza timore a tutto il mondo dopo gli Apostoli, inviscerando il libro dal sapore amaro e dolce insieme, così a Dante, quasi alter Iohannes, viene ingiunto da Cacciaguida di rendere manifesta la sua visione nel “poema sacro”, nuova Apocalisse, anch’essa, come quella di Giovanni, amara nel primo gusto ma poi salutare (Par. XVII, 127-132). Anche nella Commedia, come nell’Apocalisse secondo Olivi, le realtà divine e intellettuali vengono comprese per mezzo di similitudini sensibili e corporali. Come l’insegnamento del Cristo uomo, per mezzo della voce esteriore, lascia il posto al gusto interiore dettato dallo Spirito, così Virgilio lascia il campo nell’Eden all’arrivo di Beatrice (Purg. XXX, 49-51). L’ascesa del poeta al cielo – un sentimento simile a quello provato da Glauco, il pescatore di Ovidio, “nel gustar de l’erba / che ’il fé consorto in mar de li altri dèi” – è reale applicazione del vedere la verità “non solum simplici intelligentia, sed etiam gustativa et palpativa experientia” (Par. I, 67-72). La prova della pietà di fronte ai dannati, ingannati da una falsa Scrittura (come Francesca e Paolo) o da una falsa autorità papale (come Guido da Montefeltro), equivale per Dante al martirio psicologico degli ultimi tempi inferto dal dubbio. Come al vescovo di Filadelfia, la sesta chiesa d’Asia, è data la “porta aperta”, cioè la capacità di aprire i cuori con la parola, così nella dura roccia infernale i dannati parlano per dettato interiore, interrompendo la pena. Se Dante non rinuncia ad Aristotele e ai “filosofici argomenti” dell’intelletto, la libertà della volontà è però il più grande dono fatto da Dio all’uomo, come afferma Beatrice parlando sul voto in Paradiso V.
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Il frate e il poeta hanno la stessa idea della Chiesa, esemplata sulla persona e sulla vita di Cristo: “Christi persona et vita fuit exemplar totius ecclesie future”, scrive Olivi nella Lectura super Apocalipsim (ad Ap 6, 12); e Dante nella Monarchia (III, xiv, 3): “Forma autem Ecclesie nichil aliud est quam vita Cristi […] vita enim ipsius ydea fuit et exemplar militantis Ecclesie”.
Conclusioni provvisorie
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L’intertestualità fra la Commedia e la Lectura super Apocalipsm, diffusa per tutto il “poema sacro”, regolata da precise norme la cui costanza non consente dubbio sul fatto in sé, lascia aperto il campo alle interpretazioni delle possibili cause di tanta tecnica e intima rispondenza fra i due testi. Per il momento si affacciano tre ipotesi:
a) (cfr. § 8) Poiché il senso letterale della Commedia mostra una semantica che dà accesso a un altro testo, la Lectura super Apocalipsim dell’Olivi, un pubblico di predicatori e riformatori della Chiesa – gli Spirituali francescani -, per il quale l’esegesi apocalittica oliviana era un vero e proprio libro-vessillo, avrebbe potuto, attraverso la lettura del poema, richiamarne alla memoria la dottrina parafrasata in un volgare che l’autore voleva universale quanto il latino che elaborava, profondamente aggiornata secondo gli intenti propri del poeta, in versi che le prestano “e piedi e mano” e la dotano di exempla contemporanei e noti. La Commedia, per questo pubblico, si proponeva cone speculum di edificazione interiore e come utilità per la predicazione. Questo pubblico non si formò, perché gli Spirituali, il cui destino non era già segnato quando Dante iniziò a scrivere la Commedia intorno al 1307-1308, furono nel decennio seguente perseguitati e il loro libro-vessillo, censurato nel 1318-1319 e condannato da Giovanni XXII nel 1326, fu votato alla clandestinità e quasi alla sparizione. Con il papato avignonese cessarono le speranze di riforma della Chiesa.
b) (cfr. § 7b) Poiché più luoghi della Commedia rinviano, tramite parole-chiave, a un medesimo luogo dell’esegesi esposta nella Lectura, ciò significa che la medesima esegesi di un punto del commento scritturale oliviano è stata utilizzata in momenti diversi della stesura del poema. La persistenza di un “panno” – cioè di un altro testo da cui trarre i significati spirituali del poema, materialmente elaborati attraverso le parole – è servita a mantenere l’unità e la coerenza interna dell’ordito.
c) Come terza ipotesi si può ricordare quanto affermò Charles Southward Singleton nell’annunciare la scoperta del numero sette come numero centrale della Commedia, rivelatore di una mirabile struttura nascosta ancora tutta da decifrare. Come nella cattedrale di Chartres gli scalpellini lasciarono bellissimi fregi a grande altezza, dove occhio umano non sarebbe potuto arrivare, così l’ordine e l’intelligenza interiore del poema non furono concepiti solo per la vista degli uomini: “quel disegno, qualunque fosse il suo posto nella struttura, l’avrebbe veduto Colui che tutto vede, Colui che ha creato il mondo con meraviglioso ordine, in pondere, numero, mensura ; e l’avrebbe certo guardato come prova che l’architetto umano aveva imitato l’universo che Egli, divino architetto, aveva creato innanzi tutto per la propria contemplazione, e poi, per la contemplazione degli angeli e degli uomini” [12]. La struttura semiotico-spirituale del “poema sacro”, espressione dell’io del pellegrino, sarebbe stata concepita solo “al servigio dell’Altissimo”.
La prima ipotesi è la più probabile. In primo luogo, perché la Commedia mostra un ordine interno diverso da quello che appare al comune lettore, che non conosce la Lectura super Apocalipsim (cfr. § 10). Questo andamento ciclico per stati o periodi storici della Chiesa applicati al mondo umano risponde a un percorso interiore, di progressiva illuminazione della verità, che non è riservato al solo autore o al primo motore.
In secondo luogo, perché la collocazione delle parole-chiave, che sollecitano la memoria verso l’ampia dottrina apocalittica, è tale da richiedere la collaborazione del lettore consapevole, facendo appello al suo ingegno. Salvo rari casi, non è il testo della Lectura a condizionare la prosodia o la sintassi dei versi; in questi le parole-chiave, scavate nell’umile latino dell’esegesi, sono inserite come precisi segnali metaforici. Gli stessi appelli al lettore sono tessuti con fili tratti dall’esegesi, e dunque presuppongono un pubblico capace di raccoglierli (cfr. Inf. IX, 61-63; Purg. VIII, 19-21).
In terzo luogo, perché il testo dottrinale contenuto nella Lectura, prima di travasarsi semanticamente nella Commedia, subisce una duplice riorganizzazione. La prima, sulla base delle indicazioni dello stesso Olivi, secondo il materiale esegetico attribuibile ai singoli stati (cfr. § 9 e il saggio relativo al terzo stato). La seconda, seguendo il principio applicato nelle distinctiones ad uso dei predicatori, secondo lemmi analogicamente collazionati. La “mutua collatio” di parti della Lectura arricchisce il significato legato alle parole e consente uno sviluppo tematico amplificato. Si vedano, ad esempio, le variazioni eseguite sul tema della “voce” o sull’espressione “in medio”, temi più volte iterati nel sacro testo, oppure il modo con cui Ap 1, 16-17 (l’esegesi della decima e undecima prefezione di Cristo come sommo pastore) percorre i versi in collazione con altri passi. Se Dante ha scelto queste modalità di riorganizzazione della materia esegetica, lo ha fatto per utilità di quanti con esse avevano familiarità [13].
In quarto luogo, perché nel “poema sacro” che si propone come nuova Apocalisse, scritta da un nuovo Giovanni, all’allegoria intesa come “una veritade ascosa sotto bella menzogna” (Convivio II, i, 3), cioè sotto la lettera della poesia che diletta, si sostituisce la metafora della Scrittura, che Tommaso d’Aquino riteneva necessaria, utile e occulta per esercitare nello studio e contro le irrisioni degli infedeli (Summa Theologiae, I, qu. I, a. 9), e dunque i “sensi mistici”, come nella Bibbia, sono rivolti a un pubblico che può intenderli.
Per quanto la prima ipotesi sia la più probabile, le tre prospettive non si escludono: Dante avrebbe individuato un particolare tipo di pubblico – il che non contrasta con il voluto carattere polisemico del “poema sacro”, secondo quanto l’autore stesso afferma nell’Epistola a Cangrande (Ep. XIII, 20) -; il messaggio indirizzato a questo pubblico costituiva la struttura interiore della Commedia, permanente nella sua stesura; l’elaborazione della Lectura dell’Olivi confermava il poeta nella sua coscienza di essere il nuovo Giovanni, autore della nuova Apocalisse esprimente una vera visione, inviato come l’evangelista a predicare di nuovo al mondo, dopo gli apostoli, per la conversione universale.
L’arte della memoria per parole-chiave poteva servire al pubblico degli Spirituali come all’autore. Il fatto che gruppi di terzine numericamente corrispondenti, a diversi stadi della Commedia, contengano parole-chiave che conducono alla medesima pagina esegetica della Lectura indica che queste parole, se dovevano essere per il lettore spirituale signacula mnemonici di un altro testo, erano per il poeta anche segni del numero dei versi, ‘luogo’ dove collocare i medesimi signacula in forma e contesto diversi (cfr., ad esempio, i casi relativi ad Ap 7, 3-4 e 7, 13-14).
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Del poema si perse subito, se mai alcuno fece in tempo ad accorgersene, il linguaggio spirituale che porta i sensi interiori del libro, scritto come l’Apocalisse “dentro e fuori”; ne rimase il senso letterale e la selva dei commenti e delle interpretazioni. Quella perdita di coscienza, con il dilibrarsi dei due mondi, classico e cristiano, dallo zenit cui li aveva portati il poeta, fu il primo sintomo dell’ “autunno del Medioevo”. Ormai la gente antica, passata per il crogiolo del poema sacro, era entrata di nuovo nella vita dell’uomo, ma aveva cominciato a deporre la sua veste spirituale.
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La Commedia e la Lectura, testualmente tanto unite, furono gli ultimi testimoni nel Medioevo cristiano dell’inserimento dell’individuo nell’ordine universale secondo i giudizi di Dio, di una storia della salvezza collettiva, prima che l’individuo restasse solo.
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Il chicco di grano seminato dal frate provenzale recò in Italia il frutto migliore, e il poeta fiorentino conseguì “la gloria de la lingua” attraverso un’intensa elaborazione intertestuale della Lectura super Apocalipsim, completata (1297/1298) appena dieci anni prima dell’inizio della stesura del “poema sacro” (ca. 1307). Il latino era una lingua per pochi, non bastava più per tutte le necessità espressive: il latino dell’esegesi è vicino al volgare; a questo latino non aulico rinviano i versi del poema. Scrisse Étienne Gilson che “[…] nessun linguaggio è a Dante più familiare di quello della Scrittura” [14]. Si può precisare che nessun linguaggio è più familiare al volgare di Dante del latino dell’esegesi scritturale. Si tratta del sermo humilis il quale, come affermò Auerbach, “insegna le profondità della vita ai semplici” [15]. È la favella “soave e piana” con la quale Beatrice, umiliatasi a scendere all’ “uscio d’i morti”, si rivolge “con angelica voce” all’alta tragedia figurata in Virgilio (Inf. II, 56-57). Grazie a questo latino, per cui il volgare diventa una nuova lingua universale, parve a Thomas Stearns Eliot di provare le emozioni date dalla Commedia anche senza possedere una compiuta conoscenza dell’italiano [16].
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Ma come il chicco di grano deve morire se vuole produrre frutto, così il rapporto fra la Lectura e la Commedia passò per una profonda metamorfosi del commento apocalittico oliviano, segnandone l’uscita dalla cerchia dei Frati Minori verso il secolo umano.
Tutte le citazioni della Lectura super Apocalipsim presenti nei saggi o negli articoli pubblicati su questo sito sono tratte dalla trascrizione, corredata di note e indici, del ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 713, a disposizione fin dal 2009 sul sito medesimo. I passi scritturali ai quali si riferisce l’esegesi sono in tondo compresi tra “ ”; per le fonti si rinvia all’edizione in rete. Non viene presa in considerazione l’edizione critica a cura di W. LEWIS (Franciscan Institute Publications, St. Bonaventure – New York, 2015) per le problematiche da essa poste, che sono discusse in A. FORNI – P. VIAN, A proposito dell’edizione di Warren Lewis della Lectura super Apocalipsim di Pietro di Giovanni Olivi. Alcune osservazioni, in “Archivum Franciscanum Historicum”, 109 (2016), pp. 99-161.
Il testo della Commedia citato è in Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di G. PETROCCHI, Firenze 1994.
Cfr. la bibliografia a stampa dell’autore della ricerca.
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