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Ott 20 2023

Inferno XII

La “Divina Parodia” del Libro scritto dentro e fuori

Canti esaminati:

Inferno: I; II; III; IV; V; VI; VII; VIII; IX; X; XI; XII; XIII; XIV; XV; XVI; XVII; XVIII; XIX; XX; XXI; XXII; XXIII; XXIV; XXV; XXVI; XXXII, 124-XXXIII, 90
Purgatorio: III; XXVIII
Paradiso: XI-XII; XXXIII


Introduzione
: 1.
Inferno XII nella “Topografia spirituale della Commedia: Màrtiri e martìri. 2. “Cicilia” martire. 3. Discesa e terremoto: il secondo avvento di Cristo nei suoi discepoli spirituali. 4. Una Trinità negativa. Testi.

 

INTRODUZIONE

 

1. Inferno XII nella “Topografia spirituale della Commedia: Màrtiri e martìri.

Seppure segue l’ordine dei ventidue capitoli dell’Apocalisse, Olivi suggerisce, nel prologo della Lectura, un metodo differente di comprensione e di aggregazione del testo, fondato sui sette stati (status), cioè sulle epoche nelle quali si articola la storia della Chiesa, prefigurate nell’Antico Testamento.
L’Apocalisse si articola in sette visioni: le sette chiese d’Asia, i sette sigilli, le sette trombe, la donna vestita di sole (le sette guerre sostenute dalla Chiesa), le sette coppe, il giudizio di Babylon nelle sette teste del drago, la Gerusalemme celeste. Le prime sei visioni possono essere a loro volta divise in sette momenti, ciascuno dei quali riferibile a uno dei sette stati. Assembrando, per le prime sei visioni, tutti i primi elementi (chiesa, sigillo, tromba, guerra, coppa, momento del giudizio di Babylon), tutti i secondi, i terzi e così di seguito, si ottengono sette gruppi di materia teologica, corrispondenti al complesso dei temi afferenti a ciascuno dei sette stati o periodi storici. A questi sette gruppi si aggiungono altri due: l’esegesi della settima visione (senza articolazioni interne) e l’esegesi di capitoli del testo scritturale, o di parti di essi, introduttivi delle successive specificazioni delle singole visioni per settenari, che Olivi definisce “radicalia” o “fontalia”. Si ottengono in tal modo nove gruppi: le parti proemiali, i sette assembramenti di settenari e la settima visione. Il grande prologo della Lectura, articolato in tredici notabilia, può essere anch’esso aggregato secondo i sette stati. Un libro (la Lectura) contiene dunque princìpi e criteri affinché l’accorto lettore possa trarne un altro libro, fatto con lo stesso materiale ma ricomposto e distribuito in forma diversa.

La Commedia mostra un ordine interno diverso da quello che appare al lettore: il viaggio di Dante ha un andamento di ciclici settenari, che corrispondono ai sette stati della storia della Chiesa, cioè alle categorie con cui Olivi organizza la materia esegetica. Questo ordine interno è registrabile per zone progressive del poema dove prevale, tramite parole-chiave, la semantica riferibile a un singolo stato. È un’intima struttura dirompente i confini letterali stabiliti dai canti e da tutte le divisioni materiali per cerchi, gironi, cieli. Ogni stato, che ha differenti inizi, è concatenato per concurrentia, come le maglie di un’armatura, con quello che precede e con quello che segue. Si possono in tal modo redigere mappe che comprendano l’ordine spirituale della Commedia. La ricerca è pervenuta a una Topografia spirituale della Commedia (PDF; introduzione in html), dove quasi per ogni verso, o gruppo di versi, collegamenti ipertestuali conducono al “panno” esegetico fornito dalla Lectura super Apocalipsim, sul quale il “buon sartore” ha fatto “la gonna” (cfr. Par. XXXII, 139-141).

■ A ogni gruppo è arbitrariamente assegnato un diverso colore: Radici (verde), I stato (verde acqua), II stato (rosso), III stato (nero), IV stato (viola), V stato (marrone), VI stato (blu), VII stato (indaco), VII visione (fucsia). Dei gruppi sono stati integralmente studiati il terzo stato e la settima visione.

Nel secondo ciclo settenario dell’Inferno (canti X-XVI), i violenti contro il prossimo (primo girone del settimo cerchio) sono segnati dai temi del secondo stato della storia della Chiesa, proprio dei martiri. Si tratta della stessa parte del “panno” con cui è stata fatta la “gonna” di Francesca (Inf. V), i cui motivi saranno variati in Guido da Montefeltro (Inf. XXVII) e nel conte Ugolino (Inf. XXXIII), all’arrivo delle anime alla spiaggia della montagna (Purg. II) e negli invidiosi purganti (Purg. XIII, XIV).
Dall’esegesi della seconda chiesa d’Asia, Smirne (prima visione apocalittica), provengono i temi della “ruina” e del percuotere (Inf. XII, 4, 5, 32: Ap 2, 10-11), del “cantico”, secondo l’interpretazione del nome “Smirne” (v. 88: Ap 2, 11), del non diffidare (“la scorta fida”, v. 100: Ap 2, 8.10), della “rapina” (“l’aver di piglio”, v. 105: Ap 2, 9), del danno (“li spietati danni”, v. 106: Ap 2, 10), delle saette (vv. 56, 77: Ap 2, 11; tema comune con il primo sigillo, Ap 6, 2).
Cristo consola la chiesa di Smirne predicendole che la sua tribolazione durerà solo dieci giorni (Ap 2, 10). Il numero dieci, che corrisponde a quello delle persecuzioni generali, si ritrova nel numero dei dannati nominati nel girone. Essi sono effettivamente dieci: Alessandro, Dionisio fero, Azzolino (Ezzelino da Romano), Opizzo da Esti, Guido di Montfort (“Colui fesse in grembo a Dio / lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola”), Attila, Pirro, Sesto, Rinier da Corneto e Rinier Pazzo.
Ai Centauri che guardano i violenti contro il prossimo vengano applicati dei termini che compaiono in principio del capitolo quinto della Lectura, per spiegare i motivi della chiusura del secondo sigillo nell’Antico Testamento (seconda visione). Si tratta del bellicoso desiderio di vendicare le offese, che nutre ira e impazienza, e questo ben si concorda con le qualità di Nesso, Chirone e Folo (vv. 67-72). Anche il “sensualis et corporalis vite nimius amor”, dalla “nimia brutalitas et impetuositas”, proprio della brutale vita dei Gentili, chiude il secondo sigillo. All’apertura del sigillo, il fervore della fede dei màrtiri estingue la brutale vita dei Gentili e siffatto amore. Virgilio, domando il Minotauro, ne ‘spegne’ l’ira bestiale (v. 33), variante dell’“a vita ci spense” di Inf. V, 107: l’ira è motivo della seconda tromba (Ap 8, 8) e della seconda guerra (Ap 12, 12); congiunta alla vita bestiale è presente anche nella prima coppa (Ap 16, 2).
All’apertura del secondo sigillo (Ap 6, 4), a Giovanni appare un cavallo rosso (l’esercito dei pagani rosso per il sangue sparso dai martiri). A chi vi sta seduto sopra (l’imperatore romano o il diavolo) è concesso di togliere la pace dalla terra, perseguitando non solo gente estranea e lontana ma anche i propri parenti e vicini. Il tema dell’uccisione dei parenti e dei ‘vicini’, già presente in Inf. V, 107 (“Caina attende chi a vita ci spense”), si ritrova appropriato a Obizzo II d’Este il quale, ucciso dal figliastro, sta immerso nel Flegetonte (vv. 110-112). Anche il ricordo di Arianna, la sorella del Minotauro che ammaestrò Teseo, sembra contenere il medesimo motivo (vv. 19-20). Il Flegetonte è la “riviera del sangue”, e il sangue è più volte menzionato (vv. 47, 75, 105, 125), Nesso si muove con Dante in groppa “lungo la proda del bollor vermiglio” (v. 101).
Dalla seconda tromba (terza visione) proviene il tema del “portare” (tanto insistente in Inf. V), nel caso appropriato a Nesso che porta Dante “in su la groppa” (v. 95: Ap 8, 9; variante è il verso 18: “che sù nel mondo la morte ti porse” detto da Virgilio al Minotauro). Il portare per il mare della gentilità è proprio, nell’esegesi, di quanti erano maggiormente dotati di ragione e che tuttavia perirono per un terzo. Un tema che si addice ai Centauri, uomini per metà dell’aspetto. Portare è tipico dei diaconi, ai quali è affidato il compito di leggere e di portare sulle spalle il peso della passione di Cristo. Nesso, che porta in groppa Dante, imitatore della passione di Cristo nel suo visitare la valle buia, è fasciato da altri motivi teologici.
La seconda guerra (quarta visione), condotta da Michele e dalle schiere dei martiri contro i falsi idoli pagani e il culto dei demoni (Ap 12, 7-12), presta i suoi temi al Minotauro. Collocato disteso “’n su la punta de la rotta lacca” discoscesa verso il settimo cerchio dei violenti, come Pluto si trova “al punto dove si digrada” dal terzo al quarto cerchio (Inf. VI, 114; non è casuale il riferimento a Michele in Inf. VII, 10-12, anche se la zona è da riferire al terzo e quarto stato concorrenti), il Minotauro, che fu concepito nella “falsa vacca”, al vedere Virgilio e Dante morde sé stesso per rabbia interiore (tema della quinta coppa, ad Ap 16, 11; anche la rabbia lo accomuna a Pluto). Virgilio gli grida che Dante non è il “duca d’Atene”, cioè Teseo, che ammaestrato da Arianna gli porse la morte su nel mondo (Inf. XII, 11-21). L’episodio presenta il tema del “dux” che combatte contro i falsi idoli.
Il tema del culto, inteso come culto dei santi martiri che contrasta quello diabolico, è probabilmente presente nei versi messi in bocca al centauro Nesso e relativi a Guido di Montfort: “Colui fesse in grembo a Dio / lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola”, che cioè pugnalò a tradimento in una chiesa di Viterbo, nel 1272, il cugino di Edoardo I d’Inghilterra Arrigo di Cornovaglia (vv. 118-120). Ciò confermerebbe l’interpretazione del “si cola” data dai commentatori antichi come “si venera”, con riferimento all’essere il cuore di Arrigo venerato a Londra, ed escluderebbe l’altra interpretazione – “si cóla” – come “colare” del sangue che gronda in quanto invendicato. È anche probabile che il medesimo motivo sia presente, in modo equivoco, in apertura del canto successivo, nell’accenno all’odio per i “luoghi colti” da parte delle fiere selvagge della Maremma, paragonate alle brutte Arpie che fanno i nidi  sugli aspri e folti sterpi della selva dei suicidi (Inf. XIII, 7-9).
Al Minotauro, infamia di Creta  distesa “’n su la punta de la rotta lacca” (Inf. XII, 11-12), è appropriato il tema del diavolo gettato a terra nella seconda guerra “in infimam deiectionem” (Ap 12, 9; non ammissibile, al v. 12, la variante era discesa in luogo di era distesa). Come il diavolo viene sciolto verso la fine dei tempi, dopo la quale non avrà più il potere di tentare, e mostra grande ira perché sa che il tempo concesso è poco (Ap 12, 12), così il Minotauro, alle parole di Virgilio, pare un toro furioso che si scioglie dai lacci nel momento in cui riceve il colpo mortale, “che gir non sa, ma qua e là saltella” (vv. 22-27; non ammissibile, al v. 22, la variante si slancia in luogo di si slaccia).
Al centauro Chirone Virgilio chiede uno dei suoi che porti Dante sulla groppa: la domanda del poeta pagano e l’ingiunzione del centauro a Nesso – “danne un de’ tuoi … e sì li guida” – sono parodia dell’esegesi di Michele “unus spiritus … datusin ducem” (vv. 91-99: Ap 12, 7). L’esegesi si diffonde sulla “conformitas officii” di Michele, e per restare in tema Virgilio assume su di sé una parte di Michele dicendo: “Tal si partì dal cantare alleluia / che mi commise quest’ officio novo” (vv. 88-89).
Nella seconda parte della sesta visione è esposto il tema del fiume sanguigno (Ap 17, 6), e tale si ritrova nel Flegetonte. Inoltre “martiro” (v. 61), “mi tentò” (v. 67), “a provo” (v. 93, da “ad probationem” [Ap 2, 10], con equivoco senso di ‘star vicino’ / ‘ad prope’ e di ‘tentare’), “passo” (v. 126), “guerra” (v. 138) sono altrettante cellule tematiche dello stato dei martiri, delle prove, delle tentazioni.

■ Il confronto con Inf. V, canto la cui tematica, nel primo ciclo dell’Inferno, è tessuta principalmente sul medesimo gruppo di materia esegetica – relativo, nella storia della Chiesa, allo stato o periodo dei martiri – registra quantitativamente le variazioni semantiche operate nelle parole-chiave contenute nel senso letterale dei versi:

● Prologo: Inf. V: 18 [Notabile I (2), V (1), X (11), XIII (4)] – Inf. XII: 1 [Not. XII]

● I visione: II chiesa (Smirne; Ap 2, 8-11): Inf. V (10) – Inf. XII (10)

● II visione: II sigillo (Ap 5, 1; 6, 3-4): Inf. V (14) – Inf. XII (8)

● III visione: II tromba (Ap 8, 8-9; cap. XI, in fine): Inf. V (16) – Inf. XII (4)

● IV visione: II guerra (Ap 12, 7-12): Inf. V (4) – Inf. XII (10)

● Cap. XVII: Inf. V (5) – Inf. XII (2)

Mentre in Inf. V incide profondamente la tematica del prologo della Lectura, in particolare del Notabile X, e viene fatto maggior ricorso all’esegesi del secondo sigillo e della seconda tromba, in Inf. XII più numerosi sono i riferimenti alla seconda guerra. A differenza di Inf. XII, in Inf. V, inoltre, fanno da contrappunto alla tematica prevalente, propria del secondo stato, variazioni su molti altri temi esegetici, relativi soprattutto al sesto stato (solo per citarne alcuni: 1, 16-17; 3, 9; 7, 1; 7, 3-4; 7, 9.13; 11, 8; 18, 10). Del sesto periodo, in Inf. XII, c’è quasi solo il riferimento al terremoto.
Come Inf. V registra anche temi propri dello stato precedente, il primo (soprattutto dalla prima chiesa: Ap 2, 2; 2, 6; 2, 7), così Inf. XII (principalmente dal primo sigillo: Ap 6, 2). Comune è il riferimento all’esegesi di Ap 1, 7.

■Quanto ai temi, in Inf. XII, di stati diversi dal secondo, è da notare che il Minotauro partecipa, per la bestialità, l’ira e la falsità (fu concepito “ne la falsa vacca”) della prima coppa (Ap 16, 2). I motivi dell’arco e delle frecce, dall’apertura del primo sigillo (Ap 6, 2), sono propri dei Centauri “armati di saette”, che corrono tra la base della ripa e la fossa del Flegetonte sanguigno, anch’essa “in arco torta”. Tre di essi si staccano dalla schiera per andare incontro a Virgilio e a Dante “con archi e asticciuole prima elette”: ‘eleggere’, cioè scegliere con cura le frecce dalla faretra (che sono le sentenze di condanna), corrisponde nell’esegesi all’elezione dei predestinati da inviare nel mondo a convertire i Gentili (Inf. XII, 52-60).
Le parole di Virgilio a Chirone – «rispuose: “Ben è vivo [cfr. Ap 1, 18], e sì soletto / mostrar li mi convien la valle buia; / necessità ’l ci ’nduce, e non diletto”» (vv. 85-87) – conducono alla causa efficiente e a quella materiale del libro, l’Apocalisse, che è rivelazione fatta dal Padre “per render noto”, ossia per manifestare, “ai suoi servi le cose che è necessario avvengano presto” (Ap 1, 1).
Da Ap 1, 7 (“radice” della prima visione), dove si tocca il settimo primato del Cristo uomo – “et qui eum pupugerunt” -, cioè l’essere giudice che retribuisce i buoni e i malvagi, provengono il pungere della giustizia divina e il gemere dei tiranni e dei violenti immersi nella riviera del sangue (vv. 134-135).
La parte finale della settima guerra (Ap 14, 19-20) vede l’angelo gettare l’uva vendemmiata nel grande tino (“lacus”) dell’ira divina. Il “lago” è “calcato” fuori della città di Dio, cioè fuori del luogo e del collegio dei beati, nella valle di Giosafat posta tra il monte Sion e il monte degli Ulivi, in cui staranno gli empi il giorno del giudizio. Dal “lago” “uscì sangue fino al morso dei cavalli per una distanza di 1600 stadi”. Il numero MDC, in cui sono compresi il sei, il cento e il mille, che sono numeri designanti la perfezione, indica il livello di perfezione del tormento dei dannati, minore, mediocre o perfetto. Significa pure che le pene dei dannati sono varie e adattabili in modo multiforme. Nel Flegetonte i violenti contro il prossimo hanno la pena graduata secondo l’altezza del sangue in cui sono immersi: i tiranni, violenti contro le persone e le cose, stanno sotto infino al ciglio” (Inf. XII, 103-105); gli omicidi, violenti solo contro le persone, fino alla gola (vv. 115-117); altri dannati, con pena via via meno grave (feritori, guastatori, predoni), tengono fuori del sangue bollente la testa, il busto o tutto il corpo salvo i piedi (vv. 121-125). Come spiega Nesso nel portare Dante sulla groppa, se da una parte il “bulicame” si riduce progressivamente in profondità, dall’altra “preme” sempre più il suo fondo (il “premere” della pena di Ap 19, 15) fino a raggiungere la massima altezza nel luogo dove sono puniti i tiranni (vv. 127-132).
Al v. 49 la lezione e ria e, concorrente con e ira, sembra esclusa dal confronto con Ap 9, 21, dove l’ira entra a far parte della definizione dell’omicidio.

2. “Cicilia” martire

Giudizio popolare eternamente valido contro la signoria straniera e la tirannide, sancito dall’isola che aveva tanto sofferto: tale fu considerato il Vespro siciliano dagli storici romantici, come Michele Amari o Ferdinand Gregorovius. E in effetti quella “Cicilia” alla quale il “Dïonisio fero … fé … aver dolorosi anni” (Inf. XII, 107-108) è citata in una zona dell’Inferno (il cerchio dei violenti contro il prossimo) dove prevalgono i temi del secondo stato, proprio dei martiri. Ciò appare evidente percorrendo ‘topograficamente’ i versi del poema e rilevando in essi la ciclicità, variata in sempre più ampia spirale, dei temi relativi ai sette stati oliviani, propri della storia della Chiesa. Nel Notabile X del prologo della Lectura, per spiegare come il terzo stato dei dottori inizi (con Clemente alessandrino e Origene) sotto il regime del secondo, Olivi si riporta ai tempi del martirio di santa Cecilia, che (secondo lui) avvenne sotto Alessandro Severo. Dante, nella metamorfosi parodica e mnemotecnica operata sulla Lectura, risale ancor più indietro, accostando fonosimbolicamente in due versi successivi i nomi del tiranno “Alessandro” (di Fere o, meglio, Alessandro Magno), assimilato all’imperatore Alessandro Severo, e di “Cicilia”, ossia della Sicilia, che nei “dolorosi anni” subìti ad opera dell’altro tiranno Dionigi è assimilata alla santa martire romana.

3. Discesa e terremoto: il secondo avvento di Cristo nei suoi discepoli spirituali 

■ L’inizio del canto descrive una roccia rotta da un terremoto, la “ruina” per la quale Virgilio e Dante scendono verso il Flegetonte, mossasi dalla cima del monte a causa del terremoto verificatosi in morte di Cristo (Inf. XII, 4-7, 28-30, 34-45, 62). Il muoversi delle pietre è tema dell’apertura del sesto sigillo allorché si verifica un grande terremoto, e il sesto stato rinnova la vita di Cristo (Ap 6, 12-16).
La “costa” e lo “scendere” sono temi del quinto stato, il declinante momento della pia condescensione verso la vita associata che frange l’ardua, ripida e solitaria altezza dello stato precedente degli anacoreti o contemplativi. Nel Notabile VII del prologo della Lectura super Apocalipsim si recano gli esempi di Cristo che condiscese agli infermi e di Adamo al quale venne sottratta una forte “costa” (simbolo della solitudine austera degli anacoreti del quarto stato), che Dio nel creare Eva riempì di pietas (cfr. Par. XIII, 37-38, 47-48, dove la “bella costa” tratta dal “petto” di Adamo è accostata alla “quinta luce” fra gli spiriti sapienti della prima ghirlanda). Più volte nel poema la “costa” della ripa infernale, o della montagna del purgatorio, che giace o che è corta o che cala o che pende, si abbina alla “condescensio” in modo da far via in giù o in su, indicando la rottura della solitaria arditezza, del luogo “alpestro” a vantaggio del condiscendere pietoso, del dar via.
Ne è esempio la scesa dal “loco … alpestro” verso il settimo cerchio infernale, nella fossa del Flegetonte (Inf. XII, 1-10). Viene paragonata a “quella ruina che nel fianco (equivalente alla “costa”) / di qua da Trento l’Adice percosse, / o per tremoto o per sostegno manco”; ivi “è sì la roccia discoscesa, / ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse” (“ut nequeuntibus in arduis perdurare daretur locus gratie in mediocri statu”: prologo, Notabile V); tale è quella che consente a Virgilio e Dante il passaggio dal monte al piano.
I motivi connessi al discendere continuano nel ‘calarsi’ di Dante mentre il Minotauro infuria (vv. 26-27), con i Centauri che si fermano nel vedere calare i poeti e nella domanda di Nesso: “A qual martiro / venite voi che scendete la costa?” (vv. 58-62).
Altro caso è la fuga dei due poeti i quali, inseguiti dai Malebranche, grazie alla “costa” che giace riescono a scendere dalla quinta alla sesta bolgia (Inf. XXIII, 31-33); oppure il passaggio dalla sesta bolgia alla successiva, facilitato dal fatto che il pendere, cioè l’inclinare, di Malebolge verso il pozzo centrale fa sì “che l’una costa surge e l’altra scende” (Inf. XXIV, 34-42). Nel dipartirsi dal male dell’inferno, Virgilio si appiglia “a le vellute coste” di Lucifero facendo scala del pelo e scendendo in giù “di vello in vello” (Inf. XXXIV, 73-75). Non è estranea al motivo della ‘costa condiscendente’ l’iniziale rigidità di Farinata (Inf. X, 75: “né piegò sua costa”).

A proposito del numero del nome della bestia (DCLXVI: Ap 13, 18), Olivi cita l’interpretazione data da Gioacchino da Fiore (nell’Expositio) del numero sei e dei suoi derivati, in quanto numeri che colgono le cose temporali fatte nei sei giorni della creazione e amate dai figli di questo mondo: il tempo secolare da Adamo alla fine del mondo (DCLXVI); le sei età di questo mondo in cui la bestia regna (DC); i sei tempi della sesta età nei quali la bestia perseguita più atrocemente la Chiesa (LX); il sesto tempo della sesta età, cioè il tempo del regno dell’Anticristo in cui arde il furore della bestia (VI). Questi temi sono punti di riferimento nella quinta bolgia dei barattieri.
Ivi Malacoda asserisce che “giace / tutto spezzato al fondo l’arco sesto”, e spiega che la via infernale fu interrotta a causa del terremoto verificatosi nel momento della morte di Cristo, dalla quale sono passati 1266 anni e un giorno meno cinque ore, come dice scandendo i numeri “sessanta” (sesta età) e “sei” (sesto tempo della sesta età): “Ier, più oltre cinqu’ ore che quest’ otta, / mille dugento con sessanta sei / anni compié che qui la via fu rotta” (Inf. XXI, 106-114; le cinque ore che mancano alludono agli ultimi cinque mesi di tribolazione di cui ad Ap 9, 5).
Malacoda, bugiardo nell’affermare che “presso è un altro scoglio che via face”, che cioè passa sopra la sesta bolgia, dice il vero scandendo gli anni intercorsi tra la morte di Cristo (nell’anno 34 dall’Incarnazione, all’ora sesta o meridiana come detto in Convivio IV, xxiii, 10-11) e l’ora attuale (26 marzo 1300, alle sette antimeridiane). Tuttavia Virgilio, affermando alla fine del precedente canto che “già iernotte fu la luna tonda”, la quale non nocque ma giovò al discepolo “per la selva fonda” (Inf. XX, 127-129), ha indicato un’altra data,  coincidente con il plenilunio fissato dai calendari, cioè l’8 aprile (il plenilunio reale cadde il 4/5 aprile) [1]. Malacoda, che tra l’altro farcisce il suo parlare anche col numero degli anni della permanenza della donna nel deserto (1260; Ap 12, 6.14), usa il computo tradizionale dei Padri della Chiesa, per cui Gesù è morto il 25 marzo dell’anno 34. Virgilio accenna invece all’anniversario della morte, celebrato l’8 aprile, il Venerdì Santo del 1300. La differenza fondamentale, nell’economia del poema e per la cronologia del viaggio, sta nella luna piena la quale, non avendo affatto un mero valore simbolico, si deve intendere illuminò Dante nel “passo / che non lasciò già mai persona viva”, per poi condurlo fuori del “pelago” verso il colle illuminato già dai raggi del sole (Inf. I, 13-27). La parte iniziale del poema è fortemente segnata dai temi dell’angelo del sesto sigillo, che rimuove impedimenti e ingiunge di non nuocere (Ap 7, 1-2). L’angelo, che porta il sigillo del Dio vivente, cioè le stimmate, designa il secondo avvento di Cristo, non nella carne, ma nel suo Spirito. Si rinnovano la vita, la legge e le sofferenze di Cristo. Per cui Malacoda, nel suo scandire separatamente le cifre marchiandole in parte con i segni del numero del nome della bestia, calcola il tempo secondo la data storica della morte di Cristo nel suo primo avvento (che è poi l’unica che conosce per diretta esperienza del terremoto). Virgilio parla invece del nuovo Venerdì Santo che coincide con la commemorazione dell’antico e insieme con l’inizio della nuova passione di Cristo nello Spirito. Si potrebbe dire che il diavolo usa il senso letterale, il poeta pagano quello spirituale (che poi, per Dante, ha valore storico quanto la lettera). Discendendo verso il Flegetonte, giù per la “ruina” causata dal terremoto in morte di Cristo, spesso le pietre si muovono sotto i piedi del poeta, “per lo novo carco”, cioè sotto il peso di un corpo vivo (Inf. XII, 28-30), ma il ‘nuovo’ è anche indice del sesto stato, del secolo che si rinnova, del nuovo avvento di Cristo nei suoi discepoli spirituali, che ripercorre il primo avvento del Salvatore, causa per cui, come afferma Virgilio, “in quel punto questa vecchia roccia, / qui e altrove, tal fece riverso” (vv. 44-45).
Il Limbo corrisponde alla sede divina prima dell’apertura da parte di Cristo del libro segnato da sette sigilli. Come questa apertura era desiderata e sospirata dagli antichi Padri, così lo è ora, nel secondo avvento; come all’apertura del sesto sigillo i segnati per milizia e privilegio precedono la turba innumerevole, così la schiera dei sommi cinque poeti coopta Dante, “sesto tra cotanto senno”; come nel sesto stato le genti saranno convertite “in spiritu magno et alto”, così nel nobile castello albergano gli “spiriti magni”, cioè le genti giuste, antiche (prima del Cristianesimo) e ‘moderne’ (i maomettani Avicenna, Averroè e il Saladino) in un processo della Redenzione ancora aperto che guarda a una nuova età di palingenesi e di conversione universale, che nel caso di Dante si realizza tramite la poesia.

[1] Sulla questione cfr. E. MOORE, Gli accenni al tempo nella Divina Commedia e loro relazione con la presunta data e durata della visione, vers. it. di C. Chiarini, Firenze 1900 (Biblioteca Critica della Letteratura Italiana diretta da F. Torraca; rist. anast., Roma 2007); G. INGLESE, pp. 51 (nt. a Inf. II, 1), 235 (nt. a Inf. XX, 129), 243-244 (nt. a Inf. XXI, 112-114). Le due indicazioni temporali, all’apparenza irrimediabilmente contrastanti, non lo sono se riferite la prima alla lettera recitata da Malacoda, la seconda al senso spirituale (anch’esso storico, non simbolico) del viaggio di Dante.

Virgilio ricorda che, poco prima che Cristo venisse al Limbo per rapire a Lucifero gran preda d’anime, l’inferno “tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo / sentisse amor, per lo quale è chi creda / più volte il mondo in caòsso converso” (Inf. XII, 37-45). Virgilio allude alla dottrina di Empedocle, cui si oppone Aristotele nella Metafisica, secondo la quale l’ordine dell’universo risulterebbe dalla discordia degli elementi: ove questa cessasse, subentrando la concordia, ne deriverebbe un ritorno al caos originario. È proprio questo l’effetto della setta saracena la quale, aggregando a sé l’universo e tutte le altre sette degli erranti, terrà ferma, come in un grande caos, la voragine degli articoli opposti alla fede cristiana (dall’esegesi del quarto sigillo, Ap 6, 8). Il terremoto di cui dice Virgilio corrisponde a quello descritto ad Ap 8, 5 (“radice” della terza visione), riferibile all’infuocata predicazione di Cristo per tutta la Giudea (è da notare la “conversione” causata dal terremoto, che nei versi è appropriata al ritorno al caos).

4. Una Trinità negativa

Nel proemio del libro dell’Apocalisse, dopo l’esposizione dei suoi sette primati in quanto uomo, Cristo stesso introduce il proprio primato in quanto Dio, affermando di essere “Alfa e Omega, principio e fine” (Ap 1, 8). Olivi spiega che l’Alfa (A), essendo figura di forma triangolare, designa la trinità delle persone nell’unità dell’essenza. L’Omega (in effetti ‘O’ nella grafia e nella lettura) è invece una figura circolare che ha alla sommità un’apertura dal cui fondo esce una “media virgula” tra i due archi o corni della circonferenza. Quest’ultima rappresenta l’unità e l’eternità di Dio, l’apertura la sua potenza e carità nel creare e nell’elargire i doni, i due archi designano il Padre e il Figlio, la “virgula” procedente dal loro mezzo designa lo Spirito, che procede dal Padre e dal Figlio ed è nesso di entrambi.
Nella descrizione del Flegetonte, l’infernale “riviera del sangue”, è presente l’immagine dell’Omega, trasformata nel disegno di una Trinità negativa. La fossa, dove scorre il fiume (il fondo), è “in arco torta” (Inf. XII, 52-53), intorno al fosso corrono i Centauri. Dante ne incontra tre, e paiono una controfigura delle tre persone divine: il “gran Chirón”, Folo (il cui nome concorda nel suono con “Figlio”) e Nesso, che svolge la funzione di congiunzione come la persona dello Spirito (vv. 67-72; da notare, ai vv. 69, 71, 72, l’inserimento di signacula che rinviano ad Ap 5, 1; i tre Centauri possono anche richiamare i tre spiriti immondi al modo delle rane di Ap 16, 13-14). Nesso è anche colui che porta in groppa Dante e, attraversando il Flegetonte, svolge un’effettiva funzione di ‘nesso’ tra il primo e il secondo girone dei violenti. La “virgula” da cui escono i doni elargiti dallo Spirito si ritrova nel fiumicello, rosso per il sangue bollente, che esce dalla selva e se ne va per l’arena del sabbione, “quale del Bulicame esce ruscello / che parton poi tra lor le peccatrici” (Inf. XIV, 76-81). Che si tratti proprio dei doni dello Spirito, intesi in senso negativo, lo dimostra la presenza del verbo ‘partire’ appropriato all’acqua del ruscello che esce dal Bulicame: come si può vedere ad Ap 5, 6 (passo simmetrico a  quello di Ap 1, 4, dove il secondo modo del dare, ivi trattato, proviene dai sette spiriti che stanno dinanzi al trono), l’increato spirito di Cristo, in sé uno e semplice, viene ‘partito’, cioè diviso, in sette doni. Una variante del medesimo tema è l’uscita nell’Eden da una sola sorgente di un’unica acqua che poi da sé si ‘diparte’ nel Tigri e nell’Eufrate (nel Lete e nell’Eunoè, Purg. XXXIII, 112-117).


Abbreviazioni e avvertenze

Ap : APOCALYPSIS IOHANNIS.

LSA : PIETRO DI GIOVANNI OLIVI, Lectura super Apocalipsim.

Concordia : JOACHIM VON FIORE, Concordia Novi ac Veteris Testamenti. Herausgegeben von A. PATSCHOVSKY, Wiesbaden 2017 (Monumenta Germaniae Historica. Quellen zur Geistesgeschichte des  Mittelalters, 28. Band), Teil 2 (lib. I-IV), Teil 3 (lib. V).

Expositio : GIOACCHINO DA FIORE, Expositio in Apocalypsim, in Edibus Francisci Bindoni ac Maphei Pasini, Venetiis 1527, ristampa anastatica Minerva, Frankfurt a. M. 1964.

Olivi opera spesso una sintesi del testo di Gioacchino da Fiore. Le « » precedono e chiudono un’effettiva citazione. Diversamente, viene posto un asterisco (*) o una nota in apice al termine della parte riferibile a Gioacchino.

In Ap : RICCARDO DI SAN VITTORE, In Apocalypsim libri septem, PL 196, coll. 683-888.

Tutte le citazioni della Lectura super Apocalipsim presenti nei saggi o negli articoli pubblicati su questo sito sono tratte dalla trascrizione, corredata di note e indici, del ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 713, a disposizione fin dal 2009 sul sito medesimo. I passi scritturali ai quali si riferisce l’esegesi sono in tondo compresi tra “ ”; per le fonti diverse da quelle indicate si rinvia all’edizione in rete. Non viene presa in considerazione l’edizione critica a cura di WARREN LEWIS (Franciscan Institute Publications, St. Bonaventure – New York, 2015) per le problematiche da essa poste, che sono discusse in ALBERTO FORNI – PAOLO VIAN, A proposito dell’edizione di Warren Lewis della Lectura super Apocalipsim di Pietro di Giovanni Olivi. Alcune osservazioni, in “Archivum Franciscanum Historicum”, 109 (2016), pp. 99-161.
Il testo della Commedia citato è in Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di GIORGIO PETROCCHI, Firenze 1994. Si tiene anche conto della recente edizione a cura di GIORGIO INGLESE, Firenze 2021 (Società Dantesca Italiana. Edizione Nazionale), qualora il testo proposto si discosti da quello del Petrocchi e la scelta della variante risulti discutibile nel confronto con la LSA.
Si fa riferimento ai seguenti commenti:

Dante Alighieri, La Divina Commedia. Inferno. Commento di ANNA MARIA CHIAVACCI LEONARDI, Milano 2007 (19911).

Dante Alighieri, Commedia. Inferno. revisione del testo e commento di GIORGIO INGLESE, Roma 2007.

 

 

Legenda [3]: numero dei versi; 20, 8: collegamento ipertestuale all’esegesi, nella Lectura di Olivi, di capitolo e versetto dell’Apocalisse [Ap]; Not. VII: collegamento all’esegesi contenuta nei tredici notabilia del prologo della Lectura. Varianti rispetto al testo del Petrocchi.

Viene qui esposto il canto XII dell’Inferno con i corrispondenti legami ipertestuali con i luoghi della Lectura super Apocalipsim ai quali i versi si riferiscono. L’intero poema è esposto nella Topografia spirituale della Commedia (2013, PDF; introduzione in html), ma si sta procedendo a un esame progressivo e aggiornato dei singoli canti. Ogni tabella sinottica, qui presentata o alla quale si rinvia in quanto già esaminata in altra sede, è preceduta o seguita da una parte esplicativa. Per la posizione di Inf. XII nella topografia della prima cantica cfr. supra.

Inferno XII

Era lo loco ov’ a scender la riva   20, 8; Not. VII  [V status]
venimmo, alpestro e, per quel che v’er’ anco,   [IV status]
tal, ch’ogne vista ne sarebbe schiva.   [3]

Qual è quella ruina che nel fianco   2, 10; 6, 12; Not. VII
di qua da Trento l’Adice percosse,   2, 11
o per tremoto o per sostegno manco,   [6]   6, 12-17

che da cima del monte, onde si mosse,   17, 18
al piano è sì la roccia discoscesa,   Not. VII
ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse:   [9]   Not. V

cotal di quel burrato era la scesa;
e ’n su la punta de la rotta lacca   2, 12
l’infamïa di Creti era distesa   [12]   12, 9

che fu concetta  ne la falsa vacca;   12, 7; 16, 2
e quando vide noi, sé stesso morse,   16, 10 (9, 5.8)
sì come quei cui l’ira dentro fiacca.   [15] (12, 12); 16, 2; 16, 10

Lo savio mio inver’ lui gridò: « Forse
tu credi che qui sia ’l duca d’Atene,   8, 9
che sù nel mondo la morte ti porse?   [18]

Pàrtiti, bestia, ché questi non vene   16, 2
ammaestrato da la tua sorella,   6, 4
ma vassi per veder le vostre pene ».   [21]

Qual è quel toro che si slaccia in quella   12, 12
c’ha ricevuto già ’l colpo mortale,
che gir non sa, ma qua e là saltella,   [24]

vid’ io lo Minotauro far cotale;
e quello accorto gridò: « Corri al varco;
mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale ».   [27]   Not. VII  [V status]

Così prendemmo via giù per lo scarco
di quelle pietre, che spesso moviensi   6, 12-14
sotto i miei piedi per lo novo carco.   [30]   [VI status]

Io gia pensando; e quei disse: « Tu pensi
forse a questa ruina, ch’è guardata   2, 10; 6, 12
da quell’ ira bestial ch’i’ ora spensi.   [33]   8, 8; 5, 1

Or vo’ che sappi che l’altra fïata
ch’i’ discesi qua giù nel basso inferno,   Not. VII  [V status]
questa roccia non era ancor cascata.   [36]   6, 14-16

Ma certo poco pria, se ben discerno,
che venisse colui che la gran preda
levò a Dite del cerchio superno,   [39]

da tutte parti l’alta valle feda   12, 16
tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo   8, 5
sentisse amor, per lo qual è chi creda   [42]

più volte il mondo in caòsso converso;   6, 8; 8, 5
e in quel punto questa vecchia roccia,   6, 14-16
qui e altrove, tal fece riverso.   [45]   12, 9

Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia
la riviera del sangue in la qual bolle   17, 6
qual che per vïolenza in altrui noccia ».   [48]   9, 21

Oh cieca cupidigia e ira folle,
che sì ci sproni ne la vita corta,
e ne l’etterna poi sì mal c’immolle!   [51]

Io vidi un’ampia fossa in arco torta,   6, 1; 21, 12; 6, 2 (1, 8); 6, 5
come quella che tutto ’l piano abbraccia,
secondo ch’avea detto la mia scorta;   [54]

e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia   22, 2
corrien centauri, armati di saette,   6, 2 (2, 10)
come solien nel mondo andare a caccia.   [57]

Veggendoci calar, ciascun ristette,   Not. VII
e de la schiera tre si dipartiro   16, 13
con archi e asticciuole prima elette;   [60]    6, 2

e l’un gridò da lungi:  « A qual martiro   2, 1
venite voi che scendete la costa?   Not. VII
Ditel costinci; se non, l’arco tiro ».   [63]   6, 2

Lo mio maestro disse: « La risposta
farem noi a Chirón costà di presso:
mal fu la voglia tua sempre sì tosta ».   [66]   2, 1

Poi mi tentò, e disse: « Quelli è Nesso,   2, 1; 1, 8
che morì per la bella Deianira,
e fé di sé la vendetta elli stesso.   [69]   5, 1

E quel di mezzo, ch’al petto si mira,
è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;   1, 8
quell’ altro è Folo, che fu sì pien d’ira.   [72]

Dintorno al fosso vanno a mille a mille,
saettando qual anima si svelle   6, 2
del sangue più che sua colpa sortille ».   [75]

Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle:   18, 2
Chirόn prese uno strale, e con la cocca
fece la barba in dietro a le mascelle.   [78]

Quando s’ebbe scoperta la gran bocca,
disse a’ compagni: « Siete voi accorti
che quel di retro move ciò ch’el tocca?   [81]   6, 12-17

Così non soglion far li piè d’i morti ».
E ’l mio buon duca, che già li er’ al petto,   2, 4
dove le due nature son consorti,   [84]

rispuose: « Ben è vivo, e sì soletto   1, 18
mostrar li mi convien la valle buia;   1, 1 (18, 4)
necessità ’l ci ’nduce, e non diletto.   [87]

Tal si partì da cantare alleluia   2, 11; 19, 1
che mi commise quest’ officio novo:   12, 7
non è ladron, né io anima fuia.   [90]

Ma per quella virtù per cu’ io movo
li passi miei per sì selvaggia strada,
danne un de’ tuoi, a cui noi siano a provo,   [93]   12, 7; 2, 10

e che ne mostri là dove si guada,
e che porti costui in su la groppa,   8, 9
ché non è spirto che per l’aere vada ».   [96]

Chirόn si volse in su la destra poppa,
e disse a Nesso: « Torna, e sì li guida,   12, 7
e fa cansar s’altra schiera v’intoppa ».   [99]

Or ci movemmo con la scorta fida   2, 8.10
lungo la proda del bollor vermiglio,
dove i bolliti facieno alte strida.   [102]

Io vidi gente sotto infino al ciglio;   Not. VI; 14, 20
e ’l gran centauro disse: « E’ son tiranni
che dier nel sangue e ne l’aver di piglio.   [105]   2, 9; 6, 4

Quivi si piangon li spietati danni;   2, 10
quivi è Alessandro e Dïonisio fero   2, 10 (decem dies)
che fé Cicilia aver dolorosi anni.   [108]   Not. X

E quella fronte c’ha ’l pel così nero,
è Azzolino; e quell’ altro ch’è biondo,
è Opizzo da Esti, il qual per vero   [111]

fu spento dal figliastro sù nel mondo ».   5, 1; 6, 4
Allor mi volsi al poeta, e quei disse:
« Questi ti sia or primo, e io secondo ».   [114]

Poco più oltre il centauro s’affisse
sovr’ una gente che ’nfino a la gola   14, 20
parea che di quel bulicame uscisse.   [117]

Mostrocci un’ombra da l’un canto sola, 2, 1 (IV exercitium)
dicendo: « Colui fesse in grembo a Dio
lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola ».   [120]   12, 7   si cóla

Poi vidi gente che di fuor del rio   14, 20
tenean la testa e ancor tutto ’l casso;
e di costoro assai riconobb’ io.   [123]

Così a più a più si facea basso
quel sangue, sì che cocea pur li piedi;   17, 6
e quindi fu del fosso il nostro passo.   [126]   21, 12

« Sì come tu da questa parte vedi
lo bulicame che sempre si scema »,
disse ’l centauro, « voglio che tu credi   [129]

che da quest’ altra a più a più giù prema   19, 15
lo fondo suo, infin ch’el si raggiunge
ove la tirannia convien che gema.   [132]   1, 7

La divina giustizia di qua punge
quell’ Attila che fu flagello in terra,
e Pirro e Sesto; e in etterno munge   [135]

le lagrime, che col bollor diserra,
a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,
che fecero a le strade tanta guerra ».   12, 7
Poi si rivolse e ripassossi ’l guazzo.   [139]

Inferno XII

Inferno V

Era lo loco ov’ a scender la riva
venimmo, alpestro e, per quel che v’er’ anco,
tal, ch’ogne vista ne sarebbe schiva.   [3]
Qual è quella ruina che nel fianco 2, 10
di qua da Trento l’Adice percosse,   2, 11
o per tremoto o per sostegno manco,   [6]
che da cima del monte, onde si mosse,
al piano è sì la roccia discoscesa,
ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse:   [9]
cotal di quel burrato era la scesa;
e ’n su la punta de la rotta lacca
l’infamïa di Creti era distesa   [12]   12, 9
che fu concetta  ne la falsa vacca;   12, 7
e quando vide noi, sé stesso morse,
sì come quei cui l’ira dentro fiacca.   [15]   12, 12
Lo savio mio inver’ lui gridò: « Forse
tu credi che qui sia ’l duca d’Atene,   8, 9
che sù nel mondo la morte ti porse?   [18]
Pàrtiti, bestia, ché questi non vene
ammaestrato da la tua sorella,   6, 4
ma vassi per veder le vostre pene ».   [21]
Qual è quel toro che si slaccia in quella   12, 12
c’ha ricevuto già ’l colpo mortale,
che gir non sa, ma qua e là saltella,   [24]
vid’ io lo Minotauro far cotale;
e quello accorto gridò: « Corri al varco;
mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale ».   [27]
Così prendemmo via giù per lo scarco
di quelle pietre, che spesso moviensi
sotto i miei piedi per lo novo carco.   [30]
Io gia pensando; e quei disse: « Tu pensi
forse a questa ruina, ch’è guardata   2, 10
da quell’ ira bestial ch’i’ ora spensi[33] 8, 8; 5, 1
Or vo’ che sappi che l’altra fïata
ch’i’ discesi qua giù nel basso inferno,
questa roccia non era ancor cascata.   [36] 
Ma certo poco pria, se ben discerno,
che venisse colui che la gran preda
levò a Dite del cerchio superno,   [39]
da tutte parti l’alta valle feda
tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo
sentisse amor, per lo qual è chi creda   [42]
più volte il mondo in caòsso converso;
e in quel punto questa vecchia roccia
qui e altrove, tal fece riverso.   [45]   12, 9
Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia
la riviera del sangue in la qual bolle   17, 6
qual che per vïolenza in altrui noccia ».   [48]
Oh cieca cupidigia e ira folle,
che sì ci sproni ne la vita corta,
e ne l’etterna poi sì mal c’immolle!   [51]
Io vidi un’ampia fossa in arco torta,
come quella che tutto ’l piano abbraccia,
secondo ch’avea detto la mia scorta;   [54]
e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia
corrien centauri, armati di saette,   2, 10
come solien nel mondo andare a caccia.   [57]
Veggendoci calar, ciascun ristette,
e de la schiera tre si dipartiro
con archi e asticciuole prima elette;   [60]
e l’un gridò da lungi:  « A qual martiro   2, 1
venite voi che scendete la costa?
Ditel costinci; se non, l’arco tiro ».   [63]
Lo mio maestro disse: « La risposta
farem noi a Chirón costà di presso:
mal fu la voglia tua sempre sì tosta ».   [66]
Poi mi tentò, e disse: « Quelli è Nesso,   2, 1
che morì per la bella Deianira,
e fé di sé la vendetta elli stesso.   [69]   5, 1
E quel di mezzo, ch’al petto si mira,
è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;
quell’ altro è Folo, che fu sì pien d’ira.   [72]
Dintorno al fosso vanno a mille a mille,
saettando qual anima si svelle
del sangue più che sua colpa sortille ».   [75]
Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle:
Chirόn prese uno strale, e con la cocca
fece la barba in dietro a le mascelle.   [78]
Quando s’ebbe scoperta la gran bocca,
disse a’ compagni: « Siete voi accorti
che quel di retro move ciò ch’el tocca?   [81]
Così non soglion far li piè d’i morti ».
E ’l mio buon duca, che già li er’ al petto,
dove le due nature son consorti,   [84]
rispuose: « Ben è vivo, e sì soletto
mostrar li mi convien la valle buia;   1, 1
necessità ’l ci ’nduce, e non diletto.   [87]
Tal si partì da cantare alleluia   2, 11
che mi commise quest’ officio novo:   12, 7
non è ladron, né io anima fuia.   [90]
Ma per quella virtù per cu’ io movo
li passi miei per sì selvaggia strada,                       2, 10
danne un de’ tuoi, a cui noi siano a provo,[93] 12, 7
e che ne mostri là dove si guada,
e che porti costui in su la groppa,   8, 9
ché non è spirto che per l’aere vada ».   [96]
Chirόn si volse in su la destra poppa,
e disse a Nesso: « Torna, e sì li guida,   12, 7
e fa cansar s’altra schiera v’intoppa ».   [99]
Or ci movemmo con la scorta fida   2, 8
lungo la proda del bollor vermiglio,
dove i bolliti facieno alte strida.   [102]
Io vidi gente sotto infino al ciglio;
e ’l gran centauro disse: « E’ son tiranni      2, 9
che dier nel sangue e ne l’aver di piglio.   [105]  6, 4
Quivi si piangon li spietati danni;   2, 10
quivi è Alessandro e Dïonisio fero  2, 10 (decem dies)
che fé Cicilia aver dolorosi anni.   [108]   Not. X
E quella fronte c’ha ’l pel così nero,
è Azzolino; e quell’ altro ch’è biondo,
è Opizzo da Esti, il qual per vero   [111]
fu spento dal figliastro sù nel mondo ».  5, 1; 6, 4
Allor mi volsi al poeta, e quei disse:
« Questi ti sia or primo, e io secondo ».   [114]
Poco più oltre il centauro s’affisse
sovr’ una gente che ’nfino a la gola
parea che di quel bulicame uscisse.   [117]
Mostrocci un’ombra da l’un canto sola,
dicendo: « Colui fesse in grembo a Dio
lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola ».   [120]   12, 7
Poi vidi gente che di fuor del rio
tenean la testa e ancor tutto ’l casso;
e di costoro assai riconobb’ io.   [123]
Così a più a più si facea basso
quel sangue, sì che cocea pur li piedi;   17, 6
e quindi fu del fosso il nostro passo.   [126]   21, 12
« Sì come tu da questa parte vedi
lo bulicame che sempre si scema »,
disse ’l centauro, « voglio che tu credi   [129]
che da quest’ altra a più a più giù prema
lo fondo suo, infin ch’el si raggiunge
ove la tirannia convien che gema.   [132]   1, 7
La divina giustizia di qua punge
quell’ Attila che fu flagello in terra,
e Pirro e Sesto; e in etterno munge   [135]
le lagrime, che col bollor diserra,
a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,
che fecero a le strade tanta guerra ».   12, 7
Poi si rivolse e ripassossi ’l guazzo.   [139]

Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo
, che men loco cinghia

e tanto più dolor, che punge a guaio.   [3]   1, 7
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l’intrata;
giudica e manda secondo ch’avvinghia.   [6]
Dico che quando l’anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata   [9]
vede qual loco d’inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte

quantunque gradi vuol che giù sia messa.   [12]
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,   12, 7
dicono e odono e poi son giù volte.   [15]   12, 9
« O tu che vieni al doloroso ospizio »,
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l’atto di cotanto offizio,   [18]   12, 7
« guarda com’ entri e di cui tu ti fide;   2, 8
non t’inganni l’ampiezza de l’intrare! ».

E ’l duca mio a lui: « Perché pur gride?   [21]
Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote

ciò che si vuole, e più non dimandare ».   [24]
Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto   2, 11
là dove molto pianto mi percuote.   [27]
Io venni in loco d’ogne luce muto,
che mugghia
come fa mar per tempesta,  8,8; 12,12 

se da contrari venti è combattuto.   [30]   Not. I
La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;   2, 9
voltando e percotendo li molesta.   [33]   2, 11
Quando giungon davanti a la ruina,   2, 10
quivi le strida, il compianto, il lamento;

bestemmian quivi la virtù divina.   [36]   2, 9; 17, 3
Intesi ch’a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,   8, 817, 3
che la ragion sommettono al talento.   [39]
E come li stornei ne portan l’ali   8, 9
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,

così quel fiato li spiriti mali   [42]
di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,   2, 8.10
non che di posa, ma di minor pena.   [45]   2, 1
E come i gru van cantando lor lai,   2, 11
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid’ io venir, traendo guai,   [48]
ombre portate da la detta briga;   8, 9
per ch’i’ dissi: « Maestro, chi son quelle

genti che l’aura nera sì gastiga? ».   [51]
« La prima di color di cui novelle
tu vuo’ saper », mi disse quelli allotta,
« fu imperadrice di molte favelle.   [54]   17, 3
A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.   [57]
Ell’ è Semiramìs, di cui si legge   8, 9
che succedette a Nino e fu sua sposa:

tenne la terra che ’l Soldan corregge.   [60]
L’altra è colei che s’ancise amorosa,   5, 1
e ruppe fede al cener di Sicheo;   8, 9 

poi è Cleopatràs lussurïosa.   [63]   17, 3
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi ’l grande Achille,
che con amore al fine combatteo. [66] 5, 1; Not. I
Vedi Parìs, Tristano »; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch’amor di nostra vita dipartille.   [69]   5, 1
Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ’ cavalieri,

pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.   [72]
I’ cominciai: « Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ’nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri ».   [75]
Ed elli a me: « Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega                        5, 1
per quello amor che i mena, ed ei verranno ».   [78]
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: « O anime affannate,   11
venite a noi parlar, s’altri nol niega! ».   [81]
Quali colombe dal  disio  chiamate   Not. XIII
con l’ali alzate e ferme al dolce nido

vegnon per l’aere, dal voler portate;   [84] 8, 9
cotali uscir de la schiera ov’ è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettüoso grido
.   [87]
« O animal grazïoso e benigno   8, 9
che visitando vai per l’aere perso                          17, 3
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,   [90]
se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace             Not. X
poi ch’hai pietà del nostro mal perverso.   [93]
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,

mentre che ’l vento, come fa, ci tace.   [96]
Siede la terra dove nata fui   6, 4
su la marina dove ’l Po discende   8, 8
per aver pace co’ seguaci sui.   [99]   6, 4
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,   5, 1; 8, 8
prese costui de la bella persona                      [6, 41, 7
che mi fu tolta; e ’l modo ancor n’offende[102]
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,   5, 1
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.  [105]  1, 7
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense ».   5, 1
Queste parole da lor ci fuor porte.   [108]   8, 9
Quand’ io intesi quell’ anime offense,   1, 7
china’ il viso, e tanto il tenni basso,            

fin che ’l poeta mi disse: « Che pense? ». [111] Not. X
Quando rispuosi, cominciai: « Oh lasso,
quanti dolci  pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo! ».   [114]
Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: « Francesca, i tuoi martìri   Not. X
a lagrimar mi fanno tristo e pio.   [117]   2, 11
Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore   1, 1; 5, 1
che conosceste i dubbiosi disiri? ».   [120]  Not. X
E quella a me: « Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice

ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.   [123]
Ma s’a conoscer la prima radice   Not. V
del nostro amor  tu hai cotanto affetto,   5, 1

dirò come colui che piange e dice.   [126]
Noi leggiavamo un giorno per diletto   8, 9
di Lancialotto come amor  lo strinse5, 1;  Not. X
soli eravamo e sanza alcun sospetto.   [129]
Per più fïate li occhi ci sospinse   Not. X
quella lettura, e scolorocci il viso;   8, 9

ma solo un punto fu quel che ci vinse.   [132]
Quando leggemmo il disïato  riso  8, 9Not. XIII
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,   [135]
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:   8, 9; Not. X
quel giorno più non vi leggemmo avante ».   [138]
Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangëa, sì che di pietade   Not. X
io venni men così com’ io morisse.

E caddi come corpo morto cade.   [142]